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Luoghi&Territori FVG

~ Esplorazioni partecipate nei paesaggi in trasformazione

Luoghi&Territori FVG

Archivi tag: pastorizia

Lungo la Valle del Cosa

23 venerdì Set 2016

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni, Luoghi & Territori

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Tag

allevamento, Alpaca, Aziende virtuose, Castelnovo del Friuli, Esplorazioni, Formaggio, paesaggio, Paesaggio pedemontano, pastorizia, Poligono del Ciaurlec, Travesio, Val del Cosa

 

Domenica 25 settembre 2016

Ritrovo ore 9,00 sul piazzale della Stazione ferroviaria di Travesio

L’escursione lungo il torrente Cosa è stata pesata per cercare di capire la geografia dei luoghi e il complesso ambientale che vede ilcorso del Cosa come una sorta di confine tra l’insediamento di travesio appoggiato a una pianura di ghiaie trasportate da un antico letto de Meduna e i sistema dee colline di Castelnovo dove e argille si appoggiano agli ambienti calcarei del Ciaurlec.

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Il ponte sulla forra del Cosa

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Le praterie aride nei pressi della pieve di San Pietro

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Terrazzamenti recuperati sotto il colle del castello

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Tipico portico in legno dell’architettura di Castelnovo

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Un alpaca della Zalpa

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Il ponte sul Cosa a Paludea

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La fontana del Tof

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La cava di marna del cementificio

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Un sentiero arginato per le pecore

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portico di una abitazione tradizionale nel paese evacuato di Praforte

Percorso

Come arrivare: Per chi arriva dall’autostrada deve uscire a Cimpello, risalire i Meduna fino a Sequals e da qui prendere in direzione Travesio.  Chi arriva dall’udinese, invece, dovrà raggiungere Spilimbergo per Dignano e poi risalire per Lestans.  Chi proviene dalla pedemontana di Maniago deve prendere la direzione di Meduno e poi Toppo.

La stazione di Travesio è posta nei pressi della frazione di Usago, a Sud del Capoluogo. Di fronte alla stessa c’è un ampio parcheggio alberato.

Tempo di percorrenza:   8 ore lunghezza 14 chilometri e circa 400 metri di dislivello

Grado di difficoltà:  da escursionisti il tratto della forra, mentre il resto è prevalentemente su strada.

 

 

Motivazioni per la scelta dell’itinerario

Lo storico sistema economico dell’agricoltura di Travesio e Castelnovo si faceva forza di una straordinaria dotazione di terre pubbliche poste sul massiccio calcareo del Ciaurlec. I territorio arido era privo di acqua, ma era un’ampia prateria inclinata incisa dal Cosa e qui si ricavava gran parte dell’erba che sorreggeva un sistema di produzione casearia che aveva il suo centro sul latte di vacca e su una buona quantità di prodotti pecorini.  Il censimento degli animali del 1868 rende conto del patrimonio zootecnico dei due  comuni.

cavalli muli asini tori vacche giovenche buoi torelli e vitelli pecore capre Maiali
Castelnovo 8 52 24 4 483 104 158 538 64 248
Travesio 13 1 8 252 52 38 76 152 1 17

Si può così notare come a Castelnovo la produzione di carne di vitello e torelli fosse una importante fonte di guadagno, così come la diffusa presenza di animali da soma fa pensare all’utilizzo degli stessi nelle carovane dei commercianti migranti in nord Europa. A Castenuovo non c’erano tori perché le lavorazioni sui terreni privati erano fatte per lo più a zappa, diversamente a Travesio i buoi erano abbastanza diffusi, ma si usavano anche le vacche per tirare l’aratro. Le capre a Castelnovo erano usate per sfruttare le parti meno produttive della forra del Cosa, mentre le pecore pascolavano nell’ampia prateria arida del Ciaurlec e a sera rientravano al paese.

Il forte contrasto tra un ambiente ricco d’acqua, il Cosa e i suoi affluenti, e uno arido, il Ciaulec, caratterizzava il paesaggio e le pratiche antropiche.

Un po’ di Storia del paesaggio agrario

Il paesaggio che vedremo invece oggi è del tutto diverso e mutato rispetto al passato.  La gran parte degli animali è scomparsa e soprattutto sono scomparse le praterie che rendevano evidente la presenza dei ruminanti. Oggi le aziende agricole sono pochissime e trovare degli esempi di ripresa non è facile. La modernità è affermata paesaggisticamente dal grande cementificio e dalle cave di marna ora fermi per la crisi dell’edilizia.

Il simbolo di quella che è stata una delle prime vertenze ambientali in provincia oggi riposa muto costruendo un paesaggio ridondante di luci notturne nella pianura di Usago. Qui il moderno di è espresso lasciando ampio spazio alla natura che ha interpretato con il bosco ogni spazio residuale, al punto che la vegetazione che una volta era rarissima oggi è per eccellenza il principale carattere della Val del Cosa.

Negli anni ’60 il ministero della difesa si affacciò nella valle con l’intenzione di costruire uno dei più vasti poligoni di tiro della regione. Per farlo espropriò comuni e privati di tutte le terre del versante in riva destra del cosa. Per problemi di sicurezza fecero abbandonare il paese di Praforte e impedirono per decenni il transito sulla zona del monte menomando l’economia delle piccole aziende agricole. Lentamente la gente di Castelnovo e Travesio cominciò a dimenticare questi luoghi bombardati dall’artiglieria pesante dell’Ariete.  Il poligono divenne una sorta di luogo separato e anche dopo l sia dismissione all’inizio degli anni ’90 questi settori del territorio sono rimasti poco frequentati. Cartelli, postazioni, l’osservatorio Tigre e i diffusi crateri sono oggi elementi di archeologia del contemporaneo.

 

Il percorso

La nostra escursione partirà dalla stazione di Travesio per raggiungere Molevana e visitare il caseificio Tre Valli costruito per preservare la tradizione casearia della zona, ma sottoposto a forti tensioni a causa dei problemi del mercato del latte. Da qui raggiungeremo il Cosa in un punto speciale chiamato il Puntic. Un ponte ingiustamente definito romano che supera il torrente nel punto in cui questo ha profondamene eroso il materasso alluvionale depositato dall’antico corso del Meduna. Qui il fiume è contornato da un ambiente di vegetazione selvatica di nuova formazione e i sentieri che si raccordano al ponte garantivano i collegamenti con Castelnovo e le sue borgate.

Dal ponte ci dirigeremo alla volta della chiesa pievana di San Pietro, punto focale della colonizzazione religiosa nella pedemontana. Cercheremo così di visitare l’interno perché qui c’è uno dei cicli pittorici più importanti del Pordenone. I ciclo di dipinti dedicato a San Pietro ci è particolarmente utile perché rappresenta i fatti nel contesto paesaggistico della pedemontana d’inizio XVI secolo. Infatti l’artista rinascimentale, tanto attento alle prospettive dei fondali, fu presente in chiesa nel 1516-17 e nel 1525-26. Gli affreschi illustrano storie della vita di San Pietro, tra cui, nel soffitto, Pietro accolto in cielo. Inoltre storie di S. Paolo, con la folgorazione sulla via di Damasco, ed episodi del vecchio e nuovo testamento, con figure di Santi e putti. Nel sottarco figure femminili allegoriche: Prudenza, Temperanza, Carità, Fede, Giustizia e Fortezza.

 

I colli prativi con sopra i castelli ricordano l’ambiente di Pinzano e Castelnovo, luoghi ben conosciuti da pittore.

La pala dell’altar maggiore è del genero del Pordenone, Pomponio Amalteo, che la realizzò nel 1537, raffigurando la Madonna del Rosario e i Ss. Sebastiano, Rocco, Antonio Abate. I prii due proteggevano gli uomini dalla peste, San Antonio, invece proteggeva gli animali che si muovevano su quel paesaggio di colline e monti che fa da fondale alla scena sacra.

Ancora una volta il nostro interesse è porre la distanza tra le forme del paesaggio antico e quello del nostro presente.

Passeremo per il centro del paese che si distribuisce lungo il Cosa che in questa zona è poco profondo e che era ricco di incontri con l’acqua e opifici idraulic. Arriveremo alla fine della cortina edilizia dove la chiesa di Zancan, la borgata di Travesio che nelle giornate invernali subiva i danni di una scarsa esposizione solare, si protende sullo spazio pubblico con un bellissimo portale del Pilacorte.

Costruire altri edifici lungo il torrente era impossibile perché sarebbero stati all’ombra per molti mesi all’anno. Per questo, lungo uno storico sentiero, ci sposteremo un po’ più in alto sul Cosa dove attraverseremo una serie di borgate di Castelnovo poste in alto sul fiume, in una posizione molto bella da un punto di vista panoramico. Questa nuova direttrice insediativa sgrana gli abitati di Ghet, Braida, Vidunza e Martiners, dove ci fermeremo per farci raccontare l’esperienza dagli amici di Zalpa che qui allevano esotici Alpaca.

Da Martiner schenderemo nuovamente sul Cosa nell’ampio anfiteatro di colline occupato da molti borghi posti al piede dei colli di argilla.

Lungo il sentiero raggiungeremo la fontana del Tof e poi Almadis, l’ultimo paese prima della forra che giustificò a costruzione di uno sbarramento per la produzione di energia elettrica, il bacino del Tul. Poco sopra Almadis avremo modo di notare l’insediamento medievale posto su Col Monaco e la cava di arenaria del cementificio ora non utilizzata e in fase di naturalizzazione.

Per un sentiero costruito per impedire alle pecore di entrare nei terreni privati, quindi incassato nel terreno e rinforzato con muri in arenaria chiara, saliremo rapidamente verso il bordo della forra del Cosa entrando nel poligono di tiro. Incontreremo per primo il poligono per e armi leggere e poi saliremo di un centinaio di metri un sentiero poco segnato per raggiungere uno straordinario belvedere su Clauzetto, il Tagliamento e la pianura.

Da qui attraverseremo il poligono di tiro e i prati che si sono conservati grazie all’effetto degli incendi provocati dalle esplosioni. Oggi il poligono abbandonato può essere una importante risorsa per le due comunità. La superficie della parte di Castelnovo corrisponde a circa il 40% della superficie del comune ed è stato riconosciuto come Sito di Interesse Comunitario dall’UE per i suoi valori ambientali. In sapore di dismissione diventa importantissimo far iniziare un dibattito sul riuso con nuove forme di agricoltura di uno spazio così grande e strategico.

Da qui per la strada normale scenderemo verso la borgata di Praforte, evacuata negli anni ’60 e oggi quasi completamente diroccata.

In serata raggiungeremo l’agriturismo Alle Genziane, dove Doriana Bertin ci racconterà la sua esperienza di agricoltura e trasformazione dei prodotti e dove chi vorrà si potrà fermare con noi per la cena.

Le aziende che visiteremo

Latteria TreValli a Molevana di Travesio 

Via Garibaldi, 20

tel: 0427-908317

A Molevana di Travesio il locale caseificio è recentissimo, del  28 dicembre 1991. Si è trattato del tentativo di unire una serie di latterie turnarie della zona: Molevana, Travesio, Toppo, Sottomonte, Meduno e Fanna poi dimostratosi insufficiente per riorganizzare la produzione casearia. Il nome doveva far capire che si trattava di trattare il latte di allevatori che operavano in Val D’Arzino, Val Cosa e  Val Tramontina. In un primo momento la produzione fu concentrata su tre caseifici: Molevana, Toppo e Sottomonte. Poi, con la pubblicazione dei bandi 5B, si decise di ristrutturare il caseificio di Molevana, che doveva diventare l’unico stabilimento di produzione della cooperativa. Tra il 1999 e il 2000 che ha registrato una riduzione dei soci da 65 a 23. Il caseificio lavora giornalmente 80 q.li di latte, trasformato per il 90% in Montasio e dispone di 3 punti vendita (Molevana, Meduno, Cordenons) dove viene venduto circa il 40% della produzione. CI faremo spiegare il significato della riscoperta del “salato”. La cooperativa, con la ditta Tosoni e Rosa Dorigo hanno inoltrato la richiesta all’UE per un riconoscimento IGP di questo tipo di formaggio con il desiderio di chiamarlo “Formaggio salato Asino”, anche se l’Asino era un’altra cosa e oggi non lo produce nessuno. Oggi la cooperativa è stata assorbita da una società privata e gestita da Mario Canderan.

 

Azienda agricola Zalpa a Castelnovo

Stefano Blarasin ed Edoardo Braida sono due giovani che hanno deciso di costruire una nuova e speciale azienda a Castelnovo in una zona di abbandoni e di difficile ripresa delle attività agricole. I ragazzi della Zalpa hanno deciso di allevare alpaca e di coltivare zafferano. Attività agricole che hanno poco a che fare con la zona. Proprio per questa capacità di inventare nuove strade l’azienda ha ricevuto attenzioni e premi e sarà interessante vedere sviluppare Zalpa nel prossimo futuro.

 

Agriturismo Alle Genziane

Doriana Bertin una quindicina di anni fa ha coinvolto tutta la famiglia in un progetto di radicale riforma dell’azienda agricola costruendo una filiera corta allevando i propri maiali e realizzando salum , con il marchio salumi Cortina, che vende nel bar-spaccio presso la ex latteria di Travesio. Qui ha attrezzato un piccolo negozio che propone prodotti di qualità prodotti da altre aziende come la latteria di Pradis. Oltre a questo l’azienda produce farina di mais di qualità in varietà tradizionali.

www.allegenziane.it

Per partecipare

La passeggiata si svilupperà per lo più su stradine asfaltate, ma ci sarà anche un sentiero in ripida salita quindi consigliamo scarpe da trekking e un abbigliamento pesante nel caso cambi il tempo. L’itinerario ci porterà al’agriturismo dove alcune auto di appoggio riporteranno gli autisti a Travesio.

L’escursione prevede una camminata lenta di circa otto ore consigliabile ad escursionisti allenati.  Chi viene con i figli è pregato di prestare a loro le dovute attenzioni.

Vi raccomandiamo un abbigliamento conforme alla stagione variabile soprattutto in considerazione delle previsioni del tempo.

Per i problemi finanziari dell’associazione le escursioni di Luoghi&Territori non sono gratuite, ma sottoposte a una quota di rimborso spese per compensare i costi organizzativi. I non iscritti pagheranno 5 euro mentre gli iscritti 3. Per i bambini rimane tutto gratuito.

 

Numero massimo di adesioni: trenta con obbligo di prenotazione.

Per informazioni e prenotazioni:

Moreno Baccichet: 043476381, oppure 3408645094, moreno.baccichet@gmail.com

Informazioni aggiornate saranno inserite nel sito dell’associazione: www.legambientefvg.it e www.luoghieterritori.wordpress.com

Ringraziamo per il prezioso aiuto la Regione Friuli Venezia Giulia

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I segni nei pascoli

23 sabato Gen 2016

Posted by Walter Coletto in Esplorazioni, Luoghi & Territori

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Tag

Aviano, boschi, Esplorazioni, paesaggio, Paesaggio pedemontano, pastorizia

Tempo fa un amico, mi disse che uno dei grandi valori paesaggistici sottovalutati che il Friuli aveva era il vuoto.
Erano gli anni in cui nel vicino Veneto imperversava la città diffusa con i distretti industriali che producevano a pieno regime ed esportavano ovunque.
L”aspetto estetico di un vuoto pieno solo di natura , al posto di case e capannoni, confesso mi aveva affascinato.
Negli anni sucessivi con innumerevoli esplorazioni, a piedi , ho percorso buona parte di quel “vuoto” ed ho scoperto che è depositario di una quantità notevole di informazioni che riguardano non solo il mondo vegetale ed animale tanto caro a faunisti e naturalisti ma conserva anche testimonianze di quell’attività umana che spesso lo ha segnato in modo indelebile.
Nel percorrere questi territori è diventato per me istintivo cercare tracce di questa colonizzazione.
Colonizzazione che risale a molto tempo addietro e molto spesso interpreta i luoghi in maniera talmente accorta da sembrare “naturale”, segno che in passato l’uomo più che addomesticare i luoghi sapeva adattarvisi con intelligenza.
Adattamento del resto assai sensato se si pensa che gli strumenti di lavoro non eccedevano la forza fisica del uomo e a volte degli animali e gli attrezzi molto spesso erano solo di legno.
I segni nei pascoli è  il risultato di una di queste esplorazioni o come le chiamano i Surrealisti deambulazioni, per i pascoli del Pian Cavallo.

Malghe del Pian Cavallo pascoli della casera Barzan

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I resti della vecchia Casera Val Fredda posta come si vede al centro del pascolo

Bosco_casera_pascoloUn primo dato che traspare è la presenza del bosco che sta riconquistando gli spazi a pascolo da cui è stato estromesso in passato, ne è testimonianza certa la posizione della casera che ora è al limite tra pascolo e bosco mentre come si vede nelle casere successive, qualche chilometro dopo,  l’immobile è si trovava al centro del pascolo.

Il fatto che la natura stia attuando il suo progetto di riconquista non è di perse un problema (almeno in questa sede), ma questo fa capire che quanto noi oggi vediamo e frutto di una colonizzazione del lavoro degli uomini, ci troviamo in buona sostanza in uno luogo antropizzato.

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Pascoli di Casera Caserata

Bosco_Affioramenti

Il bosco avanza riconquistando pascoli magri segnati da affioramenti di roccia.

 

 

 

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Malga Caseratta pascoli

masiere

Gli accumuli di sassi nel pascolo sono il segno di dissodamenti operati per rendere il pascolo più ricco e per  accumulare materiali da utilizzarsi per la costruzione di recinzioni e casere.

 

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Resti della vecchia casera Caseratta

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Pascolo Casera Caserata

Resti_Mandre

 

 

 

 

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Vista dalla Casera Caserata verso la Casera Val Fredda sono particolari i disegni sul pascolo costituiti dall’incrocio dei muretti verticali dei recinti e dalle emergenze rocciose in mezzo al pascolo. Le suddivisioni nei pascoli consentivano di spostare gli animali di parcella in parcella così da concimalo a rotazione tutto.

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Ricovero animali (mandra) con resti di edifici

iIpotesi

 

 

 

 

 

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Vista della casera Val Fredda nella sua nuova collocazione più vicina alla nuova strada forestale

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In primo piano la viabilità forestale ed in ombra la cava di prestito utilizzata molto probabilmente per la realizzazione dell’infrastruttura.

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I resti di una mandra per il ricovero degli animali, si noti la presenza all’interno del recinto di una vegetazione arbustiva più ricca dovuta probabilmente alla presenza di un terreno maggiormente concimato dalle deiezioni animali.

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Resti di un manufatto interrato che ptrebbe far pensare o ad una vasca di raccolta dell’acqua o ad una ghiacciai.

 

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Nuovi progetti pastorali a Clauzetto e sul Monte di Asio

18 giovedì Giu 2015

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni, Luoghi & Territori

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Tag

allevamento, Clauzetto, Latteria di Pradis, Mini caseificio, pastorizia, Vito d'Asio

Domenica 21 giugno 2015

Nuovi progetti pastorali a Clauzetto e sul Monte di Asio

Ritrovo ore 9,30 presso il parcheggio delle Grotte Verdi di Pradis di Sotto

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L’altopiano ricco d’acqua di Pradis a partire dal ‘600 fu fittamente insediato con decine di borghi di piccola dimensione legati per lo più all’allevamento di pecore e capre. Questa presenza fu in qualche modo organizzata anche in relazione alla produzione di prodotti facilmente vendibili in pianura. Qui, come a Tramonti, si sviluppò una produzione storica e organizzata di produzione e vendita di formaggi teneri conservati nella salamoia. Questa tradizione sopravvive nelle due diverse forme di formaggio salato, quella proveniente da un formaggio tipo stracchino e quella che prevede la salamoia per un formaggio tenero tipo “latteria”. La produzione veniva svolta dalle diverse famiglie all’interno delle proprie cucine con procedimenti molto empirici. Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 sorsero le prime latterie sociali che producevano un nuovo formaggio del tipo Montasio. Questo cambiò in modo radicale il rapporto con le risorse riducendo il pascolo brado e privilegiando l’allevamento in stalla di vacche che venivano alimentate con foraggio. La crisi di questa economia dopo la seconda guerra mondiale portò a un collasso del sistema economico dell’altipiano. Negli anni ’80 e ’90 furono tentate delle iniziative di modernizzazione (l’allevamento di ungolati selvatici sul monte Pala, coltivazioni intensive di patate, l’acqua Pradis), senza riuscire ad invertire la crisi delle produzioni alpine. Oggi su questi altipiani la ripresa dell’allevamento e di una nuova forma di attività casearia si percepisce come un elemento di continuità rispetto alla recente tradizione.

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Percorso

Come arrivare: Arrivati a Clauzetto dall’udinese attraverso Vito d’Asio e da Travesio per i pordenonesi si supera il paese per piegare a sinistra verso Pradis di Sotto e le segnalate Grotte Verdi. Potete anche seguire i cartelli dell’acqua Pradis. Il parcheggio delle grotte è molto ampio e ombreggiato.

Tempo di percorrenza: 8 ore

Grado di difficoltà: nessuno.

Motivazioni per la scelta dell’itinerario

Anche a Clauzetto, come a Tramonti a partire dal XVII secolo ci fu una importante diaspora insediativa che portò molte famiglie del paese ad abitare piccole borgate esterne al villaggio medievale. La zona di Pradis era stata colonizzata già nel medioevo con la costruzione di quel paesaggio di praterie artificiali richiamato dal toponimo. Le zone utilizzate per il pascolo pubblico videro prima la costruzione di un diffuso sistema di piccole stalle private su modesti lotti ceduti dal comune, e poi la definitiva trasformazione di questi edifici in case d’abitazione vere e proprie, caratterizzate anche dalla messa a coltura dei terreni più fertili. Negli ultimi anni questo paesaggio si è profondamente alterato lasciando sempre più spazio a formazioni boschive spontanee. Le attività umane legate all’agricoltura sono quasi del tutto scomparse. Oggi invece qualcosa sembra riprendere il senso di una storica tradizione, quella dell’allevamento. Alcuni nuovi piccoli allevamenti sono sorti in valle e la riapertura della latteria di Orton a Pradis di Sopra lascia ben sperare per una conservazione dei paesaggi dell’economia dell’erba.

Un po’ di Storia del paesaggio agrario: Agricoltura e allevamento in vallata

Fino all’unità d’Italia la mancanza di strade di grande traffico non aveva mai posto l’altipiano di Clauzetto in una condizione di crisi. Anzi, prima della costruzione delle strade austronapoleoniche 1805-1815, la montagna, pur essendo un grande rilievo, era più facilmente transitabile della pianura perché non soggetta ad alluvioni o a terreni molli e paludosi. Ora invece, affacciandosi la modernità, la montagna sembrò lontana dai centri del potere e del commercio. In questo senso vanno letti gli sforzi per togliere Clauzetto dall’isolamento dotando il capoluogo di una strada carrozzabile: “ strada da Clauzetto per Castelonovo, costruzione costosissima, di gran lunga superiore alle forze di quei comuni, e tuttavia assai necessaria, giacché Clauzettto al pari di Vito d’Asio, manca tutt’ora di strade carrozzabili, che le congiungano al centro distrettuale”1.

Se in età d’antico regime Clauzetto non viveva la sensazione di essere un luogo periferico la costruzione di questa strada e di quella diretta a Pielungo furono mitizzate come una sorta di soluzione ai problemi di arretramento sociale ed economico della montagna pordenonese.

Nella Statistica pastorale pubblicata el 1869 la zona del formaggio asino era tenuta in particolare considerazione e si può notare come la presenza di ovini e caprini in paese fosse già poco rilevante. A Clauzetto furono individuati 392 animali distribuiti in 69 famiglie, contro i 2660 di Tramonti di Sopra e i 1842 di Tramonti di Sotto. Evidentemente la pastorizia aveva un impianto più legato alla raccolta del foraggio e all’allevamento in stalla. Solo Vito d’Asio faceva eccezione perché le dimensioni del Canale dell’Arzino garantivano ampi pascoli alla transumanza di pecore (1105) e alle capre (743). Nel nuovo paesaggio densamente abitato di Pradis le grezzi avrebbero prodotto solo conflitti. Non a caso a Clauzetto le vacche da latte erano 222 e i bovini complessivamente 289 concentrati nelle mani di sole 32 famiglie. Si trattava di poche famiglie che avevano molti animali, esattamente il contrario di quello che accadeva nel contermine villaggio di Vito d’Asio dove ben 157 famiglie si dividevano un patrimonio di 520 bovini, dei quali ben 363 vacche da latte. Anche sugli equini il rapporto tra i due insediamenti era molto diverso, a Vito d’Asio venivano contati 24 muli, mentre a Clauzetto solo 16. Per quanto riguarda i maiali si può notare che una maggiore disponibilità di cibo permetteva di allevare molti capi in più di quelli prodotti in Val Meduna. I suini a Clauzetto erano 43 presenti nei cortili di 36 famiglie, mentre a Vito d’Asio erano 66 in 55 famiglie2.

Agli inizi del ‘900 l’interesse per l’allevamento si esprimeva in una attenzione particolare per le casere e i caseifici moderni, ma Clauzetto e Vito d’Asio non erano certo ricchi di malghe pubbliche. Il primo vantava Malga Polpazza, sul monte Pala, ma con un carico di animali sproporzionato per le risorse foraggere. Nel 1903, per circa 85 giorni, il pascolo avrebbe ospitato 78 vacche da latte, 25 vitelli o manze, una capra e un maiale per recuperare produttivamente il siero del latte. Sullo stesso monte la malga dei Cecconi detta Pala riusciva a garantire il pascolo a 140 bovini. Le pecore ormai erano del tutto assenti da questi settori della montagna pordenonese. Il cambiamento nel consumo del formaggio aveva ormai modificato in modo radicale i meccanismi di produzione. Era comunque ben chiaro come lo spartiacque culturale nell’approccio all’allevamento dei bovini e alla produzione del formaggio dividesse i settori di Meduna e Arzino da quelli della Valcellina: “”come per le forme d’uso dei pascoli alpini, pei sistemi colturali e per la tecnica del caseificio, così differiscono le zone alpestri dei due distretti di Spilimbergo e Maniago per le varietà d’animali bovini”3. Questi non avevano un carattere di purezza della razza per manto e dimostravano come questa forma di allevamento fosse ancora poco codificata anche a livello genetico. In alcuni casi le cronache ricordano come la razza “Carnico-Bruneck si trova predominante a Pinzano, Forgaria, Vito d’Asio, Clauzetto, Castelnovo e Frisanco”4.

Il successo dell’allevamento bovino tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 ci è confermato dal censimento fatto dal Catasto Agrario del 1929 che ci mostra come a Clauzetto i bovini fossero ormai 817, i muli si erano ridotti a 12 unità, i suini erano invece aumentati raggiungendo il numero di 94, le pecore erano 626 e le capre 156. Questo censimento degli animali permette di cogliere l’apice del popolamento umano e animale a Clauzetto. Proprio nel momento in cui si fondavano nuovi meccanismi di produzione del cibo (vedi la latteria di Pradis) la pressione dell’uomo sulle risorse alpine aveva raggiunto i livelli maggiori. Le attività di sfruttamento del suolo ormai occupavano ogni angolo della vallata, persino i più impervi e difficili.

All’apice della dispersione insediativa gli abitanti esterni alla villa medievale di Clauzetto erano superiori a quelli risiedenti nel villaggio. La polverizzazione della presenza umana aveva garantito nel capoluogo meno di un terzo degli abitanti del comune al censimento del 1921 (3115), A Pradis di Sopra venivano contati 749 abitanti, a Pradis di Sotto 931 e a Celante, sui versanti argillosi della zona bassa del comune, venivano censiti 442 individui. A Clauzetto invece se ne contavano 993. Altrettanto dispersa era la popolazione di Vito d’Asio che si sgranava lungo il Canale dell’Arzino.

Se cerchiamo di ricostruire le forme di sfruttamento del suolo a Clauzetto quasi un secolo fa scopriamo che il carattere principale era quello del pascolo.

Le terre coltivate non superavano i 22 ettari, mentre le praterie e i pascoli ne contavano 1736. Per rendersi conto di come il paesaggio fosse completamente diverso da quello attuale basti pensare a come i boschi si limitassero a coprire 200 ettari nei settori più periferici del comune, mentre bel 595 ettari non erano coltivati e 309 risultavano essere del tutto improduttivi.

Oggi l’aspetto dei territori che attraverseremo è del tutto diverso. I coltivi sono praticamente scomparsi e con loro molte delle varietà tradizionali di cereali e ortaggi tipici della valle. Il patrimonio biologico degli alberi da frutto è stato quasi completamente disperso e le praterie si sono nella maggior parte dei casi trasformate in boscaglie incolte.

Durante la nostra esplorazione cercheremo di renderci conto di questa radicale trasformazione paesaggistica e colturale prodottasi durante gli anni dello spopolamento.

Il cibo di riferimento

L’acqua Pradis

Era l’inizio degli anni ’90 quando fu proposta una attività sull’altipiano di Pradis del tutto nuova . Fino ad allora i rilievi della Val d’Arzino erano stati famosi per le proprietà curative delle acque di Anduins, mentre vicino a Gerchia un imprenditore cominciò una azione per costruire uno stabilimento di imbottigliamento di un’acqua minerale particolarmente priva di sali minerali. L’acqua che era sempre stata un elemento importante nel paesaggio della Val d’Arzino e del Cosa diventava un bene di consumo. L’impianto fu costruito a Gerchia in un punto particolare delle pendici del M. Taiet, lungo una erosione della frattura periadriatica.

Il formaggio salato come abbiamo visto era un prodotto diffuso già nel ‘500 anche se era prevalentemente prodotto con latte di pecora e capra. Successivamente, con l’aumento delle vacche in Val Meduna si pervenne alla produzione di un formaggio tenero che doveva essere conservato in salamoia. Si trattava di un prodotto molto richiesto dalle cittadine mercantili e veniva venduto anche a Venezia come cibo per i marinai, perché in salamoia riusciva comunque a conservarsi nelle stive delle navi. Successivamente i nuovi gusti alimentari introdussero le nuove tecniche di caseificazione per ottenere prodotti stagionabili e facili da vendere in pianura: ma la tradizione del formaggio in salamoia non fini mai per scomparire e ancora molte valligiane sono specializzate nel trasformare questo prodotto.

La salamoia – in gergo “salina” – viene conservata, in mastelli di larice, in appositi locali della casa e dei caseifici a temperature non superiori ai 14°C al momento dell’immersione delle forme e per i 40 giorni successivi all’inizio del procedimento. La salamoia è derivata da un composto – detto “madre” – costituito da una miscela di acqua, sale, panna d’affioramento e latte, in percentuali variabili in relazione all’originale momento della sua formazione.

La salamoia deve essere integrata con l’aggiunta delle medesime sostanze che la costituiscono con frequenza mensile. A seguito delle integrazioni, l’amalgama deve essere energicamente rimescolato. La massa liquida della salamoia viene almeno ogni due giorni agitata con un mestolo-bastone, per assicurare l’ossigenazione e mantenere l’omogeneità anche superficiale del composto. Le forme vengono mantenute in salamoia per un periodo non inferiore ai 60 giorni, computati dall’inizio della lavorazione del latte, e non superiore ai 120 giorni.

Il formai del Cit, simile al carnico formai frant, è il più recente dei prodotti tipici. Si tratta di un prodotto realizzato con gli sfridi della stagionatura del formaggio. Un tempo i resti e le porzioni di formaggio mal stagionate venivano recuperate in casera o presso l’abitazione del produttore costruendo un agglomerato di formaggio che veniva conservato a stagionare sotto latte. Si presenta come un formaggio spalmabile, dall’odore forte e dal sapore un po’ piccante.

Il formaggio può avere una stagionatura che va dai 2 ai 12 mesi e con il latte viene creato un impasto lavorato a mano. Viene poi conservato in bacinella per 6-7 ore e poi si ripassa per il tritacarne. Si consuma entro 10 giorni dalla data di preparazione.

Questo prodotto deve il suo nome al “cìt” con cui veniva indicato il “vaso di pietra” usato per conservare l’impasto aromatizzato a base di formaggio.

Il formaggio di Latteria

Il formaggio a pasta dura della tradizione del Montasio è un formaggio relativamente recente nel panorama della produzione casearia dell’altipiano è cominciò a consolidarsi nella pratica solo dopo che fu costruita la latteria Turnaria, ancora oggi perfettamente conservata. Per produrre questo formaggio ci volevano le conoscenze tecniche di un casaro e una strumentazione di caldaie efficiente e perfettamente conservata a Pradis.

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Il formaggio pecorino

Da circa cinque anni anche a Clauzetto è ripreso l’allevamento brado delle pecore grazie a un pastore sardo. La sua esperienza è estremamente interessante perché recuperando un capannone abbandonato e attrezzandolo con un mini caseificio a Clauzetto si è ripresa la prsuzione di formaggio pecorino che in epoca antica era senza dubbio il prodotto più popolare. La frugalità degli animali e le dimensioni ridotte dell’investimento permettono di garantire una ripresa del pascolo sulle aree abbandonate. Una sorta di nuova colonizzazione pastorale, almeno per alcuni piccoli settori di Pradis.

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Descrizione dell’itinerario

La grotta dei cacciatori di Marmotte

Nella preistoria il paesaggio dei luoghi era completamente diverso e il clima più freddo garantiva in questo settore un ambiente vegetazionale e faunistico che oggi è tipico dell’alta montagna. Vicino a Gerchia passeremo a fianco di un riparo sotto roccia che migliaia di anni fa era utilizzato dai cacciatori per scuoiare e le loro prede, in questo caso marmotte, che evidentemente vivevano all’interno di un paesaggio di praterie naturali.

Lo stabilimento dell’acqua Pradis

Uno dei due stabilimenti di imbottigliamento dell’acqua in provincia di Pordenone è quello presente a Pradis e sfrutta una pccola sorgente alla base di una montagna un tempo intensamente pascolata. Oggi il carattere selvaggio del M. Taiet garantisce la purezza di quest’acqua imbottigliata direttamente alla sorgente e diretta alla pianura attraverso un sistema stradale poco adatto ai carichi pesanti.

Il cimitero della battaglia di Pradis

Non è ancora giunto il centenario della battaglia di Pradis che vide contrapporsi proprio sulla sella di Pradis le truppe italiane in ritirata dopo Caporetto (1917) e le avanguardie tedesche posizionate sul vertice della salita. Il paesaggio agrario oggi è profondamente mutato e l’estesa faggeta rende difficile immaginare la scena dello scontro. In compenso visiteremo il suggestivo cimitero costruito come una fortezza militare, con torrini angolari,che ospita sia i soldati italiani, nel registro inferiore, che quelli tedeschi, in quello superiore.

La latteria di Pradis di Sopra

Da meno di un decennio la latteria di Pradis ha riaperto i battenti assorbendo nuovamente la piccola produzione di latte dell’altipiano e attirando a se alcuni altri produttori locali. In poco tempo la nuova gestione è diventata un punto di riferimento per rintracciare gusti della tradizione casearia, ma anche invenzioni come il formaggio del Cit con pepe e ginepro.

L’allevamento delle pecore e un micro caseificio

Sempre nella frazione di Orton circa un lustro fa un pastore sardo ha recuperato un capannone abbandonato per costruire una moderna attività di allevamento della pecora e trasformazione del latte producendo un ottimo formaggio pecorino. Anche lui ci racconterà la sua esperienza e potremo osservare come il rinato allevamento ovino stia riuscendo a conservare alcuni spazi prativi opponendosi all’avanzata del bosco.

L’allevamento dei bovini

A Pradis la possibilità di conferire il latte alla piccola latteria ha prodotto delle ricadute locali estremamente interessanti. Stanno aumentando il numero di capi e di allevatori, così come si cominciano a vedere delle positive ricadute sul paesaggio attraverso le pratiche di falcio e di pascolo che oggi sono più estese che in passato. Questo dimostra il consolidarsi di una spontanea filiera corta.

L’agriturismo al Paradiso

Alcuni anni fa nello speciale ambiente del Mont di Vito d’Asio è stato realizzto un agriturismo centrato sui temi dell’allevamento ovino. Dopo una crisi del progetto questo complesso capace di proporre ristorazione e ospitalità è stato affittato da un cuoco tunisino che sta cercando di ricostruire un gregge di centinai di pecore che sarebbe capace di controllare l’avanzata del bosco sulle poche superfici prative rimaste.

Per partecipare

La passeggiata si svilupperà per lo più su stradine campestri. Si consigliano le pedule o le scarpe da ginnastica e un abbigliamento “a cipolla”. Lasceremo alcune auto all’agriturismo d’arrivo e provvederemo a riportare gli autisti al punto di partenza ad escursione finita.

L’escursione prevede una camminata lenta di circa otto ore priva di difficoltà. Chi viene con i figli è pregato di prestare a loro le dovute attenzioni.

Vi raccomandiamo un abbigliamento conforme alla stagione variabile soprattutto in considerazione delle previsioni del tempo.

Per i problemi finanziari dell’associazione le escursioni di Luoghi&Territori non sono gratuite, ma sottoposte a una quota di rimborso spese per compensare i costi organizzativi. I non iscritti pagheranno 5 euro mentre gli iscritti 3. Per i bambini rimane tutto gratuito.

Numero massimo di adesioni: trenta con obbligo di prenotazione.

Per informazioni e prenotazioni:

Moreno Baccichet: 043476381, oppure 3408645094, moreno.baccichet@gmail.com

Informazioni aggiornate saranno inserite nel sito dell’associazione: www.legambientefvg.it e www.luoghieterritori.wordpress.com

Ringraziamo per il prezioso aiuto la Regione Friuli Venezia Giulia

1 Discorso pronunciato dal Comm. Avv. Eugenio Fasciotti prefetto della Provincia di Udine nell’aprire la sessione ordinaria del Consiglio Provinciale, Udine, 1870

2 Tacito Zambelli, Statistica Pastorale, “Bullettino dell’Associazione Agraria Friulana”, n.17-18, 1869, pp.515-557

3Tonizzo, I pascoli alpini dei distretti di Spilimbergo e Maniago, Bollettino dell’Associazione Agraria Friulana, vol.XX, n.4-6, 1903, p.152

4 Umberto Sellan, Lo stato attuale delle stazioni friulane di monta taurina, “Bullettino dell’Associazione Agraria Friulana, a.52, n.12-13, 1907, p.351

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Una presenza/assenza: i pastori di Aviano

17 venerdì Apr 2015

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni

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allevamento, Marsure, pastorizia

Un fenomeno particolare che riguarda il rapporto tra territorio e presenza di pecore nel comune di Aviano è quello che le greggi non si vedono e si notano poco anche i pastori residenti. Sulle 10,000 pecore o poco più che sono dichiarate in regione nell’ultimo censimento dell’agricoltura più di 4.000 fanno capo a greggi di pastori residenti ad Aviano. Le greggi di Valentino Frison e di Carlo Tassan contano circa 1500 pecore per allevatore eppure non si vedono. Velentino Frison è residente a Marsure e lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua esperienza e per comprendere come sia cambiato il rapporto che il paese intratteneva con questo animale. Nel censimento degli animali ad Aviano del 1830 la pecora era senza dubbio l’animale domestico più diffuso, a differenza di oggi che prevale la vacca. Nell’Ottocento le pecore si vedevano perché il patrimonio animale era distribuito in quasi tutte le famiglie e ogni giorno le pecore venivano portate al pascolo. Nel villaggio la movimentazione di quasi 1200 animali era senza dubbio uno spettacolo pubblico capace di segnare il paesaggio.

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Valentino Frison con Elisa Cozzarini

Oggi invece le 1500 pecore del pastore Frison si muovono quasi sempre al di fuori dei confini del villaggio seguendo una transumanza che ha un itinerario annuale e che porta le pecore dai monti al mare. Non a caso abbiamo incontrato il pastore e non il gregge che in questi giorni era in transito sui territori del maniaghese, Valentino Frison e Carlo Tassan che vantano due principali greggi si muovono su diversi settori alpini, tra il Piancavallo e la Carnia. I percorsi della transumanza hanno assunto un carattere regionale e sono molto diversi quindi dal movimento che gli ovini facevano all’interno dell’orizzonte del villaggio medievale fino alla metà dell’800. Si tratta di una nuova e moderna forma di allevamento ovino del tutto diversa dalla tradizionale, sia per dimensione delle greggi che per la forma aziendale. Questi grandi branchi di pecore nomadi affrontano itinerari ormai storicizzati che portano animali e pastori dalla pedemontana ai pascoli alti del M. Cavallo contribuendo nuovamente a colonizzare zone altrimenti lasciate alle successioni ecologiche. Queste pecore hanno quindi, nella loro assenza, un grande significato ecologico.

I grandi spazi magredili dal medioevo sono sempre stati un punto di incrocio degli itinerari delle transumanze lunghe, ma i recenti vincoli ambientali europei permettono solo il transito degli animali e non il pascolo. Questo ha sollevato un piccolo conflitto che rischia di mettere in crisi proprio gli habitat più instabili. Quelli che se non sono mantenuti corrono il rischio di trasformarsi da un prato magredile in un boschetto ripariale. Se la richiesta dei prodotti a base di carne di pecora, vedi la pitina, dovesse aumentare è evidente che l’aumento delle attività di pascolo potrebbe diventare un utile elemento di contrasto all’espansione del bosco conservando caratteristiche antiche praterie artificiali inclinate tipiche nel versante avianese.

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A Budoia le attività di falcio conserbano il paesaggio delle praterie di pianura mentre i prati del versante sono quasi completamente trasformati in bosco

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Aviano e Budoia l’allevamento pedemontano tra tradizione e modernità

08 mercoledì Apr 2015

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni

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Tag

allevamento, Aviano, Budoia, Esplorazioni, Paesaggio pedemontano, pastorizia

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Domenica 12 aprile 2015

Ritrovo ore 9,00 presso la Latteria di Marsure

Non sempre le attività di produzione del cibo si legano alla tradizione, ma molto spesso sono frutto di progettualità e di invenzione. Per esempio a metà dell’800 nella pedemontana pordenonese si produssero delle trasformazioni sociali ed economiche che determinarono la riduzione sensibile di ovini e caprini e la nascita del moderno allevamento in stalla delle vacche da latte. A seguito di questo nacquero le latterie sociali e turnarie che oggi sembrano un elemento tradizionale. In questi anni tra Aviano e Budoia sono stati introdotti allevamenti di bufali che risultano essere tra i pochi presenti in regione, come pure è stata ripresa la produzione di latticini provenienti dall’allevamento della capra, sempre più richiesti. Nella pedemontana di Aviano e Budoia l’allevamento in stalla è ancora molto presente ma ha cambiato le sue forme. Le aziende agricole specializzate sono esterne agli abitati storici e assumono forme architettoniche nuove, come le pratiche di alimentazione animale. Le latterie sono sostanzialmente cambiate e lontane dai modelli cooperativistici dell’inizio del secolo scorso. La latteria di Budoia diventa bar Bianco con prodotti caseari biologici che vengono dal Cansiglio, contemporaneamente alcuni produttori locali iniziano a trasformare il latte e a commercializzarlo in proprio. Tra tradizione e innovazione cosa sta cambiando nella pedemontana pordenonese?

Percorso

Come arrivare: Conviene raggiungere la pedemontana pordenonese nei pressi Aviano e raggiunta Marsure seguire le indicazioni per la Latteria. Nei pressi della piazzetta, ci sono molti parcheggi.

Tempo di percorrenza: 8 ore

Grado di difficoltà: nessuno.

Motivazioni per la scelta dell’itinerario

Negli ultimi anni lungo la pedemontana pordenonese si stanno consolidando nuove forme di allevamento anche con la ripresa di alcune tradizioni come la transumanza regionale. Ci interessa molto capire se queste nuove pratiche modificheranno nuovamente il paesaggio pedemontano privilegiando il tema dell’allevamento e sfavorendo l’ampliamento di un paesaggio vitivinicolo tipico, per esempio, della pedemontana veneta. L’escursione da poi conto di una serie di nuove invenzioni delle filiere produttive che tengono conto di un più stretto rapporto con i consumatori che si appoggia anche all’uso di nuove forme di informazione e produzione. Come si può facilmente notare dalla descrizione dell’impatto dell’allevamento tradizionale in un tassello/transetto della pedemontana, attuale regime della presenza degli animali nel paesaggio è tutto fuorché storico.

L’assetto del sistema di allevamento nel villaggio di antico regime entrò in crisi all’inizio dell’800 e il dibattito economico e tecnico degli agronomi dell’epoca disegnò nuovi sistemi di produzione agraria entrati in crisi alla metà del ‘900. Questo nuovo paesaggio dell’agricoltura pedemontana è quindi il terzo disegnato nello spazio di un millennio e per scorgere questi cambiamenti di lungo periodo ci muoveremo lungo la pedemontana molto lentamente intervistando coloro che stanno contribuendo a disegnare un nuovo aspetto del territorio.

Un po’ di Storia del paesaggio agrario: in transetto di Marsure

Un censimento della popolazione animale presente a Marsure nel 1832 ci permette di ricostruire quello che era il carico di animali presenti nel villaggio in un momento relativamente stabile del popolamento. Sappiamo così che il cavallo era ritenuto un animale assolutamente improduttivo, apprezzato solo da quel ceto borghese che non albergava a Marsure. Gli equini non erano popolari nemmeno nelle declinazioni dei muli (solo 8) ne in quella degli asini (13).

Gli animali da soma erano presenti solo in sedici famiglie e queste erano per lo più le più ricche e quelle senza dubbio interessate ai collegamenti da garantire con i boschi più alti. Asini e muli potevano essere utili quasi esclusivamente nelle attività di trasporto tra le terre alte e la pedemontana e quindi la loro presenza era funzionale alle pratiche territoriali estensive più che alle attività dei campi. Si trattava di animali da fatica e anche la ripartizione dei bovini rappresentava questa specialità. Le vacche da latte erano pochissime ed erano nell’800 di una razza grigia alpina diffusa in tutta la pedemontana. Il latte vaccino era difficile da trattare e trasformare prima della diffusione dei caseifici moderni con la tecnica della cagliatura a caldo. Le vacche avevano invece il senso di garantire la capacità di produrre carne e animali da lavoro. Le manze potevano essere uccise per produrre carne importante da vendere, mentre erano senza dubbio considerati più importanti i buoi che garantivano con la loro forza le arature. Non a caso le vacche censite a Marsure nel 1832 erano solo trentuno mentre i buoi erano novantanove. Le famiglie più ricche avevano nella stalla una vacca per la riproduzione e quasi sempre due buoi per il tiro dell’aratro. Non tutte le famiglie del paese erano in grado di poter garantire il mantenimento di animali la tiro utili anche per muovere i carri. Tre famiglie ne avevano solo uno e dovevano farselo bastare. Giuseppe Torat ne aveva tre, mentre la famiglia di Angelo Din, composta solo da sette persone ne aveva ben quattro. Angelo vantava anche una delle greggi più importanti del villaggio composta da quarantasei pecore e cinque capre.

Le famiglie nel villaggio erano ottanta. Dieci famiglie superavano le dieci unità ma queste detenevano un numero consistente di animali e si configurano come degli aggregati famigliari. Tutte queste erano dotare di buoi. Viene facile credere che queste fossero le famiglie che contavano sulla maggior quantità di terreni posti in piano e arativi. Ben trentadue famiglie erano prive di bovini e quindi erano dedite a trattare i propri terreni coltivabili con la zappa. Quasi sempre questi nuclei erano composti da 4-6 persone e in alcuni casi, cinque per l’esattezza, non potevano contare nemmeno sugli ovini e vivevano in una profonda indigenza. Possiamo dire che a Marsure le famiglie più ricche si distinguevano per avere un nucleo numeroso di individui che abitavano sotto lo stesso tetto e avevano un consistente dotazione di animali.

Le pecore erano gli animali “grossi” più diffusi con la presenza di 1135 animali, mentre le capre erano solo 116 distribuite tra ventiquattro famiglie. A loro spettava la ricerca del cibo negli spazi più disgraziati del lungo versante montuoso. Il loro numero estremamente contenuto rispetto a quello delle pecore merita però uno specifico appunto. Le pecore erano considerate più preziose perché fornivano anche una pregevole lana che non era un sottoprodotto poco valutato. Le capre invece erano utilizzate di più per la carne e probabilmente il basso numero di esemplari censiti lasciava fuori i capi che di li a poco sarebbero stati macellati. Un ragionamento simile credo vada fatto per i trentaquattro maiali censiti nelle corrispondenti famiglie. Evidentemente il censimento si limitava a individuare solo le scrofe tralasciando i maiali che entro l’anno sarebbero stati trasformati in insaccati. Vale però la pena notare come i maiali fossero davvero pochi perché, a differenza dei ruminanti, si nutrivano di cibo che poteva essere mangiato anche dall’uomo. La maggior parte delle famiglie e soprattutto le più povere non se lo potevano permettere e si concentravano sull’allevamento degli ovini. Pecore e capre garantivano alle famiglie meno abbienti latte e carne utilizzando per lo più i pascoli pubblici. Vecchi e bambini potevano essere mandati al pascolo mentre le persone più vigorose potevano concentrarsi sui terreni destinati alla produzione delle scorte per l’inverno.

Gli animali minuti (polli oche e conigli) furono censiti solo per gli esemplari da riproduzione altrimenti non si comprenderebbe come in un villaggio che contava quattroncentocinquantotto abitanti gli animali da cortile fossero solo ottocentouno. In realtà il numero degli animali che nel paese vivevano delle magre risorse delle terre alte variava molto all’interno dell’anno e il censimento tende a cogliere più il senso del popolamento animale e umano che il riconoscimento di un valore certo e stabile della pressione degli animali sulle risorse. Quando la terra donava più frutti il patrimonio di animali cresceva fino a subire una drastica riduzione in vista dell’inverno. Nella stagione più fredda si dovevano conservare solo gli animali necessari alla riproduzione per l’anno successivo.

L’analisi delle proprietà degli animali mostra anche molte differenze tra le diverse famiglie dimostrando come nell’800 non ci fossero più all’interno dei paesi delle garanzie egualitarie tra i diversi abitanti con nuclei famigliari poverissimi e quasi privi di animali e altri dotati di greggi importanti e produttive. La famiglia di Giuseppe Lama poteva contare solo su sei pecore nonostante fossero in cinque, mentre quella di Giuseppe Bufonel, composta da quattro individui, poteva contare su due buoi, una mucca per la riproduzione, venti pecore, due capre, un maiale e molti animali da cortile. Le disparità erano sotto gli occhi di tutti e il successo di questo o quel capofamiglia era dettato dalla sua capacità di gestire il patrimonio animale in relazione agli abbondanti pascoli. Solo dieci famiglie erano prive di ovini ed erano quasi tutte indigenti a parte tre che possedevano solo bovini e quindi non erano interessate allo sfruttamento delle grandi praterie inclinate.

Gli animali occupavano regioni agrarie diverse. Bovini e suini si limitavano ai settori più bassi dell’insediamento. I sentieri non erano transitabili nemmeno con le piccole vacche della pedemontana e quello che oggi consideriamo un prodotto tipico, il formaggio di malga, allora non esisteva, come non esistevano le casere intese come piccoli caseifici stagionali.

La permanenza di buoi e vacche in paese, per contro, garantiva abbondante letame per orti e campi, ma per alimentare animali tanto voraci bisognava garantire abbondanti scorte di fieno falciando i settori più bassi della scarpata e i prati della pianura arida. Questi riuscivano a garantire solo uno sfalcio all’anno, ma il terreno poteva essere poi utilizzato per il pascolo autunnale. In ogni caso le case necessitavano di stalle complesse, capaci di contenere in spazi separati bovini, ovini, equini, suini e animali da cortile. Le case più ricche erano dei veri e propri zoo all’interno dei propri alti recinti di pertinenza. D’inverno le greggi dovevano essere portate in paese e al massimo le si poteva far uscire al pascolo nei settori più bassi della campagna d’Aviano quando non c’era la neve. A novembre si cominciava a ridurre l’esigua popolazione di maiali e di capre in modo da conservare il maggior numero di scorte.

Lo storico rapporto tra popolazione insediata e animali domestici cambiò radicalmente proprio verso la metà del XIX secolo su tutta la pedemontana. La rivoluzione dei gusti alimentari e delle modalità di allevamento che favorivano la produzione del latte vaccino trasformarono le stalle del paese: “nel Distretto di Aviano (composto dei tre Comuni di Aviano, Montereale, San Quirino) si è quello dell’essersi gli animali bovini forse raddoppiati in numero, triplicati in valore in un ventennio (…) La stessa ragione, dice il referente, che produsse l’aumento degli animali bovini, produsse la diminuzione dei lanuti, cioé essere passati gl’incolti in mani private, e quindi sminuito il vago pascolo, con che si accrebbe la massa dei foraggi pegli animali da stalla, e si tolse in gran parte il mezzo d’alimento degli animali pascolanti nella primavera e nell’autunno, perché il pascolo estivo nell’alta Alpe sussiste tuttora: ma come si rese scarso quello delle due ricordate stagioni, si dovette sminuire i lanuti; e non si viene con ciò ad approffittare del pascolo dell’Alpe, se non in parte. E sembra che questi sminuiranno ancora; perché finora, come succede in ogni momento di transizione, si supplisce cogli abusi; abusi che dal tempo e dall’interesse privato verranno tolti in tutto o in parte sensibile” (L’annotatore friulano”, a.1, n.9, 12 febbraio 1853).

L’allevamento in stalla finiva per imporsi rispetto a quello tradizionale del pascolo medievale. In età positivista si trasformava completamente l’economia del villaggio modificando il sistema produttivo del settore più importante dell’agricoltura pedemontana, quello dell’allevamento: “tutti sanno, un animale pascolante consuma o sciupa quattro volte più che alla mangiatoia”. Se fino a quel momento erano stati gli animali, gli ovini come abbiamo evidenziato, a raggiungere le risorse foraggere, da quel momento in poi la situazione cambiò radicalmente. L’uomo doveva ascendere il monte e falciare le sue praterie private, portare a valle il fieno e stivarlo in fienili enormi dai quali si sarebbe attinto per l’alimentazione delle vacche ogni giorno. La privatizzazione delle terre pubbliche avrebbe garantito l’aumento della produzione di fieno ma anche una espansione delle terre arate al di fuori dell’antico limite del villaggio. Gli effetti della propaganda delle cattedre ambulanti di agricoltura cominciava a dare dei risultati. L’abbandono della coltivazione di sorgo e segala a favore di una rotazione colturale che introduceva il frumento alternato all’erba medica dimostrava che gli storici campi potevano essere molto più produttivi: “gli anni nei quali i campi restano senza prodotti di cereali, sono largamente compensati dal maggiore prodotto degli anni successivi allo svegramento, dalla maggiore messa di foraggi, e dalla conseguente maggiore possibilità di alimentare animali, e di averne quindi una maggiore massa di letami”.

L’allevamento dei bozzoli integrava sempre più questa economia legata alle nuove forme dell’allevamento, ma si notava come “il Distretto poi fila più seta, che non produca bozzoli”. Più volte nella rivista della società agraria furono notate le difficoltà dell’allevamento dei bozzoli nel settore pedemontano e questo testimonia la scarsa presenza del gelso capitozzato nella pedemontana pordenonese.

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Descrizione dell’itinerario

L’escursione si muoverà per un lungo tratto della pedemontana da Marsure a Budoia attraversando zone agricole ancora pure, ma anche lambendo urbanizzazioni diffuse, o attraversando importanti centri storici come Castello d’Aviano e Santa Lucia. Ci interessa anche notare come in questo momento il valore dei prodotti delle aziende che visiteremo e di quelle transumanti che cercheremo di immaginarci, non stiano minimamente tenendo conto del grande valore economico che il paesaggio, uno dei più belli del Friuli Occidentale, può fornire al prodotto. E’ come vendere il Dolcetto senza sfruttare la grande potenza evocativa delle vigne delle Langhe.

Questo è un problema di comunicazione e di attribuzione di valore che attraversa tutta la società friulana nel suo rapporto con il paesaggio.

Dal centro di Marsure, dopo aver intervistato i responsabili della latteria, scenderemo sui bordi dei terrazzi ghiaiosi del paese, provocati dall’erosione del versante, per giungere nel punto dove si incontrano con i depositi fluvio glaciali del Cellina creando una speciale contropendenza dove nel ‘400 i signori di Maniago realizzarono una importante infrastruttura acquea, la roggia di Aviano. Risaliremo sul bordo di questa leggera increspatura che segna il confine tra due antichi e moderni paesaggi. Qui, seguendo la direttrice della moderna ferrovia abbandonata percorreremo un itinerario che ci permetterà di esplorare visivamente la montagna contro la quale si infrange il mare di ghiaie.

Questo percorso ci permetterà di cogliere i nuovi grandi allevamenti di bovini sparsi nella campagna e contrapposti alla moderna e compatta zona industriale di Aviano.

Ci muoveremo lungo le colline avianesi, fino a Castello per risalire il rilievo attraversando il centro storico per raggiungere poi il Torente Artugna che attraverseremo in occasione del ponte della strada pedemontana entrando in territorio di Bodoia. Qui ci muoveremo ai bordi dell’insediamento per poi raggiungere il villaggio sgranato lungo un sistema di piccole risorgenze a Santa Lucia.

Qui chi vorrà potrà fermarsi con noi per una semplice cena in un agriturismo che una volta tanto non ha la pretesa di essere un ristorante.

Le esperienze che incontreremo

La latteria di Marsure

La prima latteria sociale in Friuli fu fondata il 19 settembre 1880 a Collina di Forni Avoltri.  Nel 1890 le latterie erano novanta per raggiungere il tetto di 652 unità nel 1960. Quella di Marsure, originariamente turnaria, è relativamente recente e risale al 1922, con 150 soci. Prima di allora ciascuno produceva in proprio anche se non sappiamo che tipo di formaggio. La produzione aveva uno scopo prevalentemente famigliare e integrava la ridotta dieta proteica delle famiglie della pedemontana. L’allevamento era diffuso in pratica in ogni famiglia mentre oggi i produttori di latte che afferiscono il loro prodotto alla latteria sono rimasti solo tre, ma con un numero consistente di capi. In modo non diverso l’offerta casearia si è estesa anche attraverso l’invenzione di prodotti e ricette.

E’ interessante notare come l’attività di produzione del latte abbia costruito una serie di grandi aziende agricole ai piedi dei terrazzi del paese, lungo l’asse pedemontano dove un tempo non c’erano costruzioni. La deriva dei bovini li ha portati più vicini alle zone agricole deputate a produrre il cibo per loro.  Passeremo così a fianco di aziende agricole specializzate nell’allevamento.

Una presenza/assenza: i pastori di Aviano

Un fenomeno che non riusciremo a percepire per la difficoltà di raggiungere le greggi avianesi è quello dell’aumento degli ovini in questo settore della pedemontana. Non riusciremo a vederli perché le pecore si muovono continuamente per il pascolo, ma la loro presenza e la loro espansione si è notata di più negli ultimi anni. Dal 1982 al 2010 le pecore in Friuli VG sono passate da 4189 a 10890. Di queste più di 2000 esemplari sono gestiti da pastori di Aviano, Valentino Frison e Carlo Tassan che vantano due grandi greggi che si muovono su diversi settori alpini, tra il Piancavallo e la Carnia.  I percorsi della transumanza hanno un carattere regionale e sono molto diversi quindi dal movimento che gli ovini facevano all’interno dell’orizzonte del villaggio medievale fino alla metà dell’800. Si tratta di una nuova e moderna forma di allevamento ovino del tutto diversa dalla tradizionale, sia per dimensione delle greggi che per la forma aziendale. Questi grandi branchi di pecore nomadi affrontano itinerari antichi che portano animali e pastori dalla pedemontana ai pascoli alti del M. Cavallo contribuendo nuovamente a colonizzare zone altrimenti lasciate alle successioni ecologiche. Hanno quindi, nella loro assenza, un grande significato ecologico e naturalistico. Il possibile futuro aumento di questi animali permetterà il mantenimento delle antiche praterie artificiali inclinate, ormai conservate bene solo nel tratto di Aviano.

Inizio modulo

Azienda Agricola San Gregorio di Massimo Cipolat, Castel d’Aviano

Quella di Massimo Cipolat è una azienda giovane e innovativa nel prodotto.  Nella pedemontana pordenonese non ci sono mai stati allevamenti specializzati di capre. Alcune famiglie, in età d’antico regime, possedevano alcune capre a fianco delle greggi di pecore per sfruttare i più aridi pascoli pubblici del versante alpino, ma si trattava sempre di pochi animali. Nell’800 una polemica scatenata dai forestali portò alla drastica diminuzione delle capre accusate di aggredire polloni e tronchi dei pochi boschi presenti sul versante. La crisi di legname combustibile  veniva attribuita alla voracità di questo animale. Oggi la situazione è del tutto opposta. La capra è quasi scomparsa dagli allevamenti famigliari, mentre il bosco in tutta la pedemontana ha un incontenibile vigore. L’allevamento di Castel d’Aviano è quindi un elemento di innovazione e di costruzione di una nuova filiera produttiva centrata sulla stabulazione fissa degli animali.  Le sempre più diffuse intolleranze alimentari rendono questo prodotto interessante per un mercato alimentare nuovo. I prodotti sono latte, caciotta, ricotta, caprino, stracchino, yogurt. L’azienda di Cipolat, come quella di Capramica a Pinzano al Tagliamento, mostra un carattere innovativo trasformando l’allevamento brado della capra in un allevamento in stabulazione fissa.  Questa forse può essere una nuova stagione per questo animale che negli ultimi anni ha quasi dimezzato la sua presenza in regione passando dal 2000 al 2010 da 5.794 esemplari a solo 3285.

L’impresa è nata nel 2009 con cinque capre e si sta trasformando con forme produttive di sempre maggiore successo e filiere alimentari nuove, come quella del gelato, lontano dal mercato di massa e dimostrando come questo tipo di attività ha enormi spazi di diffusione nel momento in cui si trasformi in impresa.


Azienda Agricola Capovilla Michele
 a Castel d’Aviano

Uno dei pochi filoni dell’allevamento in Friuli V.G. che sta crescendo, almeno secondo il censimento del 2010, è quello dei bufali. La grande richiesta di mozzarella di bufala che ha tenuto alto il prezzo del prodotto ha permesso di avere dei compensi sul latte prodotto superiori a quelli della vacca sottoposta a una durissima concorrenza con i produttori del nord Europa. Per questo motivo in regione sono nati alcuni allevamenti di bufale che hanno stimolato la formazione di una filiera produttiva del tutto nuova e ancora in fase di assestamento. Michele Capovilla è uno dei produttori che hanno aderito a questa invenzione alimentare che è già un successo. Nel 1982 i tutta la regione i bufali erano solo 10, mentre a trent’anni di distanza sono 1449. Nel 2000 erano 569 e questo testimonia la grande velocità di espansione di questo mercato se solo pensiamo che nello stesso periodo i bovini in regione sono diminuiti dell’11,5%.  Quello di Capovilla ad Aviasno è uno degli allevamenti più grandi in regione con più di seicento bufale e una produzione trasformata giornalmente di 1.200 litri di latte di bufala al giorno. Recentemente la crisi di Latterie Friulane che garantiva la trasformazione e la commercializzazione di questo prodotto ha messo in crisi la produzione e l’azienda ha cercato di rispondere costruendo una nuova linea di trasformazione presso il caseificio Rodighiero di Valvasone e vendendo parte del proprio latte nel mercato padano.

Capovilla ha reinventato anche il suo sistema aziendale nel tentativo di offrire più prodotti ai consumatori locali attraverso l’apertura di uno spaccio dove si può acquistare latte, yogurt, mozzarella e anche carne di bufala. In questo senso ha tentato anche alcuni esperimenti come quello di stagionare il prodotto realizzando polpette infarinate e affumicate sul modello della pitina di pecora o la produzione di carne secca acquistabile nello spaccio aperto nel 2013.

Agriturismo al Ranch

Visiteremo questo informale agriturismo che condivide con Capovilla il tema dell’allevamento dei bufali. La sola differenza è che qui vengono allevati solo i maschi per la produzione della carne. L’agriturismo si muove prevalentemente sui temi dell’allevamento e al turismo equestre. Qui vengono allevati cavalli e bufali, ma si possono vedere anche i più insoliti yak, i lama e degli strani maiali vietnamiti incrociati con il cinghiale.

Lo zafferano di Dardago

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Da pochi anni nella pedemontana pordenonese è presente per la prima volta la coltivazione del Crocus Savitus dal quale, utilizzando i pistilli del fiore, si ricava lo zafferano. Recentemente l’introduzione di questa coltura nell’alta pianura pordenonese sta attirando molto interesse anche dal punto di vista dei ristoratori locali che stanno sperimentando nuove contaminazioni con la tradizione alimentare.Inizio modulo

I primi produttori si sono uniti nelInizio modulo

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l’l’Associazione Produttori Zafferano Friulano nel tentativo di promuovere un prodotto del tutto nuovo “lo scopo è quello di promuovere e valorizzare la diffusione di questa spezia sul territorio regionale, nonché l’assicurarsi che gli standard di qualità del prodotto e le tecniche di coltivazione rientrino nei disciplinari dello Zafferano Italiano”.

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Da Aviano saliremo a Dardago a vedere il piccolo campo impiantato  per il raccolto del prossimo ottobre cercando di immaginarci quale impatto potrebbe avere questa coltivazione nuova sul paesaggio pedemontano.

Andreazza Massimo

Si tratta di una importante azienda agricola specializzata nell’allevamento di bovini  che è anche una delle sole quattro in Friuli che fanno la vendita diretta di latte grazie a un distributore automatico.  Si tratta di una pratica speciale di distribuzione molto diffusa nelle cascine lombarde, ma quasi sconosciuta in Friuli, dove invece potrebbe diventare una pratica che unisce produttori e consumatori in un patto territoriale.


Azienda agricola R. Andreazza – Fattoria didattica/sociale “Ortogoloso”

A fianco dell’azienda di Massimo Andreazza si trova l’azienda biologica di Roberto Andreazza, l’Ortogoloso. L’azienda agricola con produzione, preparazione e raccolta di prodotti biologici garantisce miele, un piccola produzione di uova, ortaggi, fragole e piante aromatiche attivando canali di vendita al privato. L’azienda è anche fattoria didattica e svolge attività con le scuole della zona.

L’Azienda Agricola Andreazza coltiva 47 ettari di cui 2,5 ad ortaggi. L’impresa ha iniziato la conversione dei fondi ad ortaggi al fine di diventare un’azienda biologica e vende direttamente presso il proprio punto vendita tutta la propria produzione.

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Azienda Agricola Antonio Busetti.
La nostra escursione finirà presso l’azienda agricola di Antonio Busetti a Santa Lucia di Budoia. L’azienda è sorta nel 1985 per la frutticoltura, ma ultimamente sta cambiando e nei nuovi locali dal 2012 produce succo di mela, vino e la produzione di insaccati. In questi locali viene svolta anche l’attività di ristorazione.

E’ probabile che visto il poco tempo a disposizione e il fatto che non tutte le fattorie citate prevedono visite alla domenica alcuni dei casi selezionati non saranno visitati all’interno.

Per partecipare

La passeggiata si svilupperà lungo stradine campestri e strade asfaltate. Sono sufficienti scarpe da ginnastica o da trek e un abbigliamento “a cipolla”. Lasceremo alcune auto a Santa Lucia e provvederemo a riportare gli autisti a Marsure al punto di partenza.

L’escursione prevede una camminata lenta di circa otto ore priva di difficoltà.  Chi viene con i figli è pregato di prestare a loro le dovute attenzioni.

Vi raccomandiamo un abbigliamento conforme alla stagione variabile soprattutto in considerazione delle previsioni del tempo.

Per i problemi finanziari dell’associazione le escursioni di Luoghi&Territori non sono gratuite, ma sottoposte a una quota di rimborso spese per compensare i costi organizzativi. I non iscritti pagheranno 5 euro mentre gli iscritti 3. Per i bambini rimane tutto gratuito.

Numero massimo di adesioni: trenta con obbligo di prenotazione.

Per informazioni e prenotazioni:

Moreno Baccichet: 043476381, oppure 3408645094, moreno.baccichet@gmail.com

Informazioni aggiornate saranno inserite nel sito dell’associazione: www.legambientefvg.it e www.luoghieterritori.wordpress.com

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Per due anni cercheremo di riconoscere il rapporto che intercorre tra le pratiche alimentari e il paesaggio

08 mercoledì Apr 2015

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni

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Aviano, Esplorazioni, Marsure, paesaggio, pastorizia

Il Cibo produce e trasforma i paesaggi

Letture del paesaggio agrario del Friuli Occidentale

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La campagna di ricerca partecipata, dedicata per il 2015/16 al rapporto tra cibo e paesaggio, vuole attivare un osservatorio sulle recenti trasformazioni dei paesaggi agrari della provincia di Pordenone. La produzione di alimenti per la popolazione, insieme alle attività di estrazione e trasformazione, ha sempre influenzato il modo diretto l’idea che l’uomo ha dell’aspetto formale del territorio. Sul suolo nel tempo si sono succedute numerose forme economiche che hanno di volta in volta interpretato il sostrato geopedologico a volte stravolgendo l’aspetto dei luoghi. Pensiamo per esempio alla pianura arida posta a monte delle risorgive e disboscata nel medioevo per costruire un paesaggio di praterie oggi conservato solo attraverso pochi brandelli di madredi tutelati per legge. Queste zone oggi sono quelle maggiormente infrastrutturate da un punto di vista agricolo, con un disegno colturale che vanta poco più di cinquant’anni. In modo del tutto opposto i grandi pascoli delle Prealpi Carniche, che tra medioevo ed età moderna, permettevano di vendere carne e lana in pianura, oggi stanno diventando delle boscaglie infruttuose.

L’economia, ma anche le mode alimentari, influenza in modo determinante l’evoluzione del paesaggio. Questi cambiamenti sono così lenti che a volte non riusciamo a percepirli, ma percorrere il territorio a piedi ci permetterà di incontrare nuove occasioni di trasformazione e anche qualche occasione di dibattito e critica.

Il cibo da sempre produce paesaggio quindi le scelte di produzione e di modelli di vita influenzano moltissimo le trasformazioni colturali. Cercheremo di approcciare al problema fornendo a noi e a chi ci accompagnerà una lettura diacronica delle trasformazioni paesaggistiche dimostrando che alcuni prodotti che consideriamo storici sono stati inventati poco più di un secolo fa e che anche il concetto di recupero della tradizione a volte propone, nel bene e nel male, dei prodotti molti diversi da quelli originari.

Le campagne producono quello che le città chiedono e oggi che tutto il territorio è di fatto città, soprattutto in contesti densamente abitati come i nostri, la campagna esprime in termini paesaggistici l’idea delle comunità inurbate.

Non è un caso che oggi la campagna bruci cibo per produrre energia che sarà sfruttata nelle fabbriche. Cibo che viene considerato solo come un prodotto che deve lentamente fermentare per produrre gas che sarà trasformato in energia elettrica. In una società complessa come la nostra il rapporto tra cibo e territorio non può che essere complesso e anche in un ambito piccolo come il Friuli Occidentale abbiamo voluto organizzare più di una decina di discussioni peripatetiche su stradine e sentieri per cogliere certezze e dubbi. Lungi da noi l’intenzione di richiedere un passatista recupero della tradizione, il sistema del villaggio medievale autosufficiente non è di certo proponibile, ci limiteremo, invece, ad osservare quello che sta accadendo sul territorio per sollecitare azioni alla politica. Azioni che necessariamente devono muoversi su due fronti paralleli, quello dei produttori e quello dei consumatori. Queste sono due forze che continuamente interagiscono all’interno di un mercato che è sempre più globale, mentre il territorio ha una dimensione locale e micropaesaggistica.

Solo la politica può riuscire a costruire un’idea di futuro che metta in relazione le forze capaci di trasformare l’ambiente delle campagne. Alla politica il compito di promuovere nuovi stili di vita e di consumo come pure di controllare e promuovere le trasformazioni fisiche dei luoghi, in primis attraverso il Programma di Sviluppo Rurale che distribuisce sul territorio gran parte delle risorse dell’Unione Europea.

Il paesaggio non nasce dal caso ed è governato da ideali. Come spiegarsi altrimenti lo sviluppo di molte modalità di produrre cibo nei territori delle frange urbane? Non si tratta di una risposta a uno storico sradicamento del contemporaneo abitare?

Le società sentono sempre di più il significato etico di pratiche sociali di agricoltura e di collaborazione senza per questo rifarsi alle modalità di gestione comunitaria delle risorse agricole in età medievale. Anzi il rapporto “local” con le filiere di consumo responsabile e con l’autoproduzione si inserisce perfettamente in un quadro di consapevolezza che riconosce come la questione dell’alimentazione è un problema globale. Ancora una volta, per noi che proveniamo dall’ambientalismo scientifico degli anni ’70 del secolo scorso, il rapporto con i temi del cibo e dell’alimentazione va vissuto alle due scale: “pensare globalmente e agire localmente”. Ma questo pensiero non può essere privo di un approfondimento che tenga conto di una lettura diacronica e storica rispetto alla produzione del cibo nel nostro territorio.

Quasi tutte le cose che oggi consideriamo tradizione alimentare, vedi il formaggio di latteria, fanno fatica a vantare una storia più vecchia di un secolo. All’interno del disegno agrario bassomedievale che ancora oggi organizza i nostri territori si sono affermate e poi sono scomparse molte attività di produzione e trasformazione del cibo. Il disegno territoriale è rimasto lo stesso mentre la cultura agricola si è continuamente trasformata. E’ difficile descrivere cosa accadeva e si produceva in un determinato ambito del Friuli Occidentale, ma cercheremo di leggere con voi, a piedi, le trasformazioni degli ultimi 200 anni, quelli meglio documentati. Lo faremo anche incontrando chi oggi sta proponendo nuove tradizioni prossime a venire, mettendo i gioco la propria capacità imprenditoriale e i propri ideali personali.

Certamente, pur essendo un territorio di piccola dimensione, non riusciremo a raccontare la storia di tutti, ma ci dovremo limitare a una selezione di casi collocati lungo itinerari che hanno la capacità di rendere esplicita e comprensibile questa lettura diacronica del rapporto tra la produzione del cibo e il paesaggio.

 2015

12 aprile Aviano e Budoia l’allevamento tra tradizione e modernità

 Non sempre le attività di produzione del cibo si legano alla tradizione, ma molto spesso sono frutto di progettualità e di invenzione. Per esempio a metà dell’800 nella pedemontana pordenonese si produssero delle trasformazioni sociali ed economiche che provocarono la riduzione sensibile degli ovini e caprini e la nascita del moderno allevamento in stalla delle vacche da latte. A seguito di questo nacquero le latterie sociali e turnarie che oggi sembrano un elemento tradizionale. In questi anni tra Aviano e Budoia sono stati introdotti allevamenti di bufali che risultano essere tra i pochi presenti in regione, come pure è stata ripresa la produzione di latticini provenienti dall’allevamento della capra, sempre più richiesti. Tra tradizione e innovazione cosa sta cambiando nella pedemontana pordenonese?

 

10 maggio La rinascita culturale di Tramonti

Negli ultimi anni nell’alta Val Meduna si è assistito a una riscoperta identitaria dei luoghi anche attraverso a una ricerca attenta su alcune tradizioni alimentari. La riscoperta della Pitina e del Formaggio del Cit sono esemplari, così come la volontà dell’amministrazione della Villa di Sotto di aprire un forno sociale che produca pane biologico. Attorno alla istituzione del presidio Sloow food della Pitina sembrano ora nascere delle spontanee iniziative di allevamento della pecora in una zona in cui la storica tradizione dell’allevamento ovino aveva visto subire un secco collasso dell’attività. La riscoperta di un cibo è capace da sola di rilanciare anche un paesaggio corrispondente? Mangiando molta pitina aumentano le praterie artificiali? Camminando il territorio ci chiederemo appunto di queste nuove prospettive.

14 giugno Clauzetto

Gli altopiani ricchi d’acqua di Pradis a partire dal ‘600 furono fittamente insediati con decine di borghi di piccola dimensione legati per lo più all’allevamento di pecore e capre. Questa presenza fu in qualche modo organizzata anche in relazione alla produzione di prodotti facilmente vendibili in pianura. Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 sorsero le prime latterie sociali che producevano un nuovo formaggio del tipo montasio. Questo cambiò in modo radicale il rapporto con le risorse riducendo il pascolo brado e privilegiando l’allevamento in stalla di vacche che venivano alimentate con foraggio. La crisi di questa economia dopo la seconda guerra mondiale portò a un collasso del sistema economico dell’altipiano. Negli anni ’80 e ’90 furono tentate delle iniziative di modernizzazione (l’allevamento di ungolati selvatici sul monte Pala, coltivazioni intensive di patate, l’acqua Pradis), senza riuscire ad invertire la crisi delle produzioni alpine. Oggi su questi altipiani la ripresa dell’allevamento e di una nuova forma di attività casearia si percepisce come un elemento di continuità rispetto alla recente tradizione.

 

5 luglio Le casere del Cansiglio e la resistenza del formaggio di malga

Complice la facile geografia delle terre alte di Caneva e Polcenigo servita dal 1877 da una importante strada diretta al Cansiglio le malghe dell’altipiano hanno avuto una continuità d’uso fino ad oggi. Alcuni anni fa la crisi di questa attività fu contrastata con un progetto di valorizzazione del formaggio di malga e una generale ristrutturazione delle casere pubbliche. Nel complesso delle diverse esperienze produttive legate al settore caseario oggi ci sono esperienze tradizionali e altre più moderne, come quella di una fattoria didattica estiva (Fossa di Sarone). Visiteremo poi Malga Col dei Scios, Malga Costa Cervera, Casera Fossa di Bena, Casera Cercenedo.

  

20 settembre Caneva: il figo, il vino e gli olivi

Negli ultimi vent’anni i territori della storica “canipa patriarcale” non sono certo diventati il nuovo “Collio” e le trasformazoni territoriali hanno subito fasi alterne di espansione e crisi. Il fitto particellato dei campi ha sempre inibito la costituzione di grandi aziende agricole e dove queste sono state costituite il disegno del suolo è profondamente cambiato. A Caneva è molto facile notare ambienti ben coltivati a fianco di cave di marmorino e a spazi inselvatichiti. Questi accostamenti creano uno stridore paesaggistico impensabile in altri settori del Friuli Venezia Giulia e forse anche l’incapacità di unire il prodotto ai valori positivi del paesaggio anche quando i prodotti sono innovativi e di qualità come quelli del birrificio Valscura di Sarone. Per questo la riscoperta delle coltivzioni di fico, gli impianti moderni di olivo e i vitigni autoctoni sembrano non essere ancora in grado di dare al paesaggio pedemontano un valore superiore a quello della roccia da cava.

 

 

11 ottobre Il Sanvitese e le acque

La conservazione e la protezione di una risorsa importante come l’acqua ha prodotto un importante progetto di forestazione attorno alle prese dell’acquedotto di Torrate. In pochi anni quest’ambiente sta cambiando il suo carattere paesaggistico da aree di agricoltura intensiva a una selva planiziale tornando verso un paesaggio tradizionale. Visiteremo poi un ambiente, quello del cimitero degli ebrei, costruito alcune decine di anni fa con un intento di restauro paesaggistico degli ambienti delle olle di risorgiva. Si tratta di un community garden gestito da volontari e soggetto a un suo speciale processo evolutivo. Da qui raggiungeremo la settecentesca azienda agricola di Braida Curti un tempo al centro di un sistema di risaie oggi scomparse.Attraverseremo poi un tratto di campagna ancora ben conservata per raggiungere Ramuscello, patria della moderna agricoltura friulana da quando Gheraro Freschi iniziò a stampare l’Amico del Contadino nel 1842.

 

 

29 ottobre Da Pinzano al Tagliamento a Travesio attraverso le colline argillose

Le colline argillose della destra Tagliamento in origine erano sfruttate da insediamenti nucleati (Pinzano e Valeriano) posti sui primi depositi ghiaiosi, ma più a monte questo ambiente fu colonizzato con insediamenti lineari e di vertice che si sviluppavano sui crinali più stabili. Insediamenti in equilibrio con condizioni orografiche difficili e oggi difficili da comprendere visto la crisi insediativa e lo spazio conquistato dal bosco.

Nonostante tutto negli ultimi anni in questa zona sono nate delle esperienze molto interessanti che reinventano alcune tradizioni locali (la cipolla della Val del Cosa, i vini autoctoni nuovamente impiantati, il recupero della coltivazione delle mele, l’allevamento delle capre). Visiteremo quindi questi esperimenti di nuova agricoltura nel solco della tradizione.

15 novembre Dopo l’industrializzazione della “bassa”: Panigai, Pramaggiore e Azzanello

La bassa del Friuli Occidentale è divisa tra Veneto e Friuli Venezia Giulia ma da sempre è caratterizzata nei settori della pianura umida da paesaggi piuttosto omogenei. In questo ambiente in antico c’erano tre piccoli feudi Panigai, Frattina e Salvarolo. Queste zone di antico disegno, e caratterizzate da un insediamento diffuso piuttosto antico, hanno visto consolidarsi alcuni centri con carattere anche industriale (Chions e Pramaggiore) e un sistema di agricoltura intensiva legata alla vigna nei territori più asciutti. Le ampie golene del Fiume e del Sile si contrappongono alle piane strutturate dall’agricoltura del vino di Lison. Eppure in questi ambienti ricchi di contrasto si stanno costruendo anche esperienze evolutive legate a un senso sociale dell’agricoltura.

 

29 novembre Orti sociali e agricoltura periurbana a Pordenone

Come può cambiare il rapporto tra città e campagna all’interno della diffusione insediativa della periferia di una città industriale come Pordenone? L’agricolttura periurbana sta diventando una importante occasione per ripensare anche la città e il suo rapporto con il cibo. Con una breve camminata cercheremo di toccare alcune esperienze attorno a Pordenone in cui l’agricoltura diventa anche simbolo di una nuova socialità solidale. Orti urbani, community garden, orti sociali sono segnali espliciti di nuove forme di una agricoltura di prossimità che oltre al valore specificamente produttivo valorizza anche un proprio significato simbolico.

2016

marzo Attorno alle colline di Cavasso e Fanna

Il paesaggio di formazione medievale era centrato su un insediamento sparso e sui limitrofi campi intensamente coltivati. Sul versante dei colli terrazzati si trovavano le coltivazioni di pregio e il pascolo alberato, i versanti settentrionali erano coperti di castagneti per integrare i farinacei, ma oggi quest’ordine è ormai quasi irriconoscibile. Nonostante tutto in quest’area sono sorte due azioni di recupero della tradizione agricola piuttosto interessanti, quella per il recupero della produzione delle mele antiche e quella per il rilancio della produzione della cipolla di Cavasso.

 

aprile I nuovi paesaggi dell’agricoltura industrializzata dell’alta pianura

I paesaggi dell’alta pianura pordenonese vanno considerati tra i più modernizzati dell’intera regione. L’arrivo dell’acqua dopo gli anni ’30, ma soprattutto i nuovi sistemi di irrigazione, ha permesso di costruire un ambiente ricco di nuovi disegni di modernità e di imprenditorialità. Le antiche praterie hanno lasciato il posto a vigne e coltivazioni di pregio. Attività impensabili solo mezzo secolo fa. Con questa escursione visiteremo le aree sabbiose di Ovoledo con l’esperienza oggi un poco in crisi della cooperativa di agricoltori della patata, i territori influenzati dalla continua crescita dei vivai di Rauscedo e le campagne della Richinvelda ormai colonizzate da vitigni forestieri, come il prosecco,

 aprile Le risorgive e gli allevamenti ittici

A partire dagli anni ’60 l’ambito paesaggistico della zona delle risorgive è stato reiterpretato dall’economia per costruire una sorta di distretto produttivo specializzato nell’allevamento industriale della trota. Moltissime aree di risorgiva sono state con il tempo attrezzate con grandi vasche in cemento per l’allevamento di trote provocando anche importanti problemi all’ecosostema delle risorgive. Oggi questa forma di utilizzazione del suolo sembra essere entrata in crisi a causa delle mutate abitudini alimentari che tendono a preferire il pesce allevato in mare. Sono poche le aziende che su questo settore riescono ad essere innovative come l’allevamento di Villanova di San Daniele. Con questa escursione visiteremo gli ambienti un tempo coltivati a prato umido e oggi residuali all’interno della diffusione insediativa costituitasi lungo l’asse stradale della Pontebbana.

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Ricoveri arcaici

07 sabato Feb 2015

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni

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Aviano, Esplorazioni, Marsure, pastorizia

Siamo abituati a considerare le casere una forma insediativa antica, ma in realtà sono una pratica d’uso relativamente moderna. Anche da un punto di vista della presenza degli animali nel tempo la popolazione degli alpeggi è cambiata. In età di antico regime solo le greggi potevano raggiungere i settori più alti del territorio di Marsure. La produzione di latte era marginale perché i prodotti caseari non erano facilmente commerciabili al di fuori del villaggio. La produzione della lana e della carne aveva senza dubbio un maggiore valore. Le strutture edilizie non erano molto attrezzate per la cottura del latte. Erano dei veri e propri ricoveri fatti con basse murature a secco conuna copertura in pali e frasche con forme molto allungate. La pietra che segnava l’ingresso mostra come la chiusura fosse sul lato interno della porta. Quindi quando le pecore venivano chiuse in questi bassi ricoveri il pastore si chiudeva con loro all’interno, senza che ci fosse un locale apposito per gli uomini.

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Poco distante dai ruderi della vecchia casera si trova il recinto per la mungitura realizzato con un basso muro in pietra che probabilmente veniva rialzato con ramaglie secche.

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Imparare da Marsure: il senso dell’acqua nelle terre alte

10 sabato Gen 2015

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni, Luoghi & Territori

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acqua, Aviano, Marsure, paesaggio, Paesaggio pedemontano, pastorizia

In un territorio calcareo le poche fonti affioranti e i temi della “cattura” dell’acqua piovana erano determinanti per le attività di pascolo su tutto il versante alpino. Per questo motivo quando in età bassomedievale si consolidarono i confini tra comunità di villaggio l’accesso alle fonti idriche divenne un problema di ogni piccolo villaggio. Non possiamo non notare come lungo strade di salita, come quella di Costa longa attrezzate con piccole stagni per l’abbeverata (lame), divennero il naturale confine con il villaggio di Giais e che la mulattiera, poco sotto l’omonima forcella toccava una sorgente attiva quasi tutto l’anno e posta in sostanza sul confine delle due comunità.

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Uno dei rivoli della sorgente è segnato dall’abbeveratoio e dai cippi confinari tra i comuni di Aviano e Barcis

Ancor più evidente è il significato confinario assunto dalla sorgente del Tornidor che divenne il limite confinario trale comunità rurali di Barcis, Marsure e Costa. L’acqua non poteva essere spostata a difefrenza dei cippi lapidei, ma soprattutto doveva dissetare quante più greggi era possibile.

Non è inusuale poi rintracciare nei pressi degli insediamenti pastorali di antico regime pietre incise utilizzate per l’abbeverata, o piccole depressioni impermeabilizzate per costruire degli stagni artificiali oggi ormai scomparsi.

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Pietra scavata per realizzare l’abbeveratoio per le pecore

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Imparare da Marsure: Un bosco… più bosco

10 sabato Gen 2015

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni, Luoghi & Territori

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Aviano, boschi, Esplorazioni, Marsure, paesaggio, Paesaggio pedemontano, pastorizia, trasformazioni

Le superfici destinate a bosco a partire dalla seconda metà dell’800 sono decisamente aumentate seppure fossero storicamente concentrate nella parte del territorio che volge verso la Val Caltea e quindi il bacino idrografico del Cellina. Era impossibile pensare di portare il legname del bosco sulla pedemontana e quindi il bosco veniva affittato a imprenditori capaci di far scendere il legname a Barcis per poi condurlo lungo il canale della Brentella al Noncello e da qui a Venezia. Il legname veniva tagliato in “borre”, quindi la formazione boscosa era tutto fuorchè la fustaia che vedamo oggi. Le borre erano molto simnili ai fasci di legno ceduo che abbiamo incontrato durante l’escursione.

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I tratti meno fitti del bosco sono tenuti a ceduo e favore delle attività casearie

Il bosco era molto meno compatto ma soprattutto era pascolato dalle greggi e quindi sottoposto a un progressivo deperimento. La situazione cambiò radicalmente quando nell’800 le nuove normative forestali vietarono il pascolo in bosco, gli alberi furono usati per produrre carbonella da portare in paese nelle gerle o a dorso di mulo, Da allora il bosco ha chiuso quasi tutte le chiarie che lo caratterizzavano raggiungendo una forma sempre più potente e antagonista ai prati artificiali delle malghe. Un contrasto tra pieni e vuoti che assume anche un valore coloristico molto forte nelle diverse stagioni.

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Il contrasto tra il bosco e le praterie artificiali

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Le moderne fascine del ceduo evocano quelle antiche delle borre dirette a Venezia

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Oggi il fitto manto boscoso è interrotto non più dalle aperte strade della transumanza ma dalle linee elettriche che garantisco i rifornimenti energetici agli impianti e a Piancavallo

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