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Luoghi&Territori FVG

~ Esplorazioni partecipate nei paesaggi in trasformazione

Luoghi&Territori FVG

Archivi tag: paesaggio

Zalpa = Zafferano e Alpaca

05 mercoledì Ott 2016

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni, Luoghi & Territori

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Tag

Alpaca, Castelnovo del Friuli, cibo, Esplorazioni, fattoria didattica, paesaggio, pastori, Travesio, Zafferano

Zafferano e Alpaca sono molto distanti dall’idea che abbiamo dell’agricoltura nella pedemontana spilimberghese, invece due ventenni, uno di Castelnovo e uno di Travesio hanno inventato una azienda agricola che tenta delle strade per niente tradizionali.

E’ successo altre volte. Quando a metà dell’800 si è spinta la produzione lattiera con le vacche si è intervenuti cambiando radicalmente le razze presenti e introducendo tori da regioni lontane. Quando le malattie hanno attaccato la vite locale si sono importati vitigni da paesi lontani. Sono state introdotte e poi sparite le risaie. A ceci e veccia si è sostituita la soia. Insomma, le convenienze economiche e i gusti del cibo cambiano e l’agricoltura adegua  il suo sistema produttivo.

Sentite il racconto di questa speciale esperienza.

Edoardo e Stefano li trovate nella borgata di Martiners a Castelnovo del Friuli

Stefano Blarasin 3403217474       Edoardo Braida 3490803670

 

 

 

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Lungo la Valle del Cosa

23 venerdì Set 2016

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni, Luoghi & Territori

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Tag

allevamento, Alpaca, Aziende virtuose, Castelnovo del Friuli, Esplorazioni, Formaggio, paesaggio, Paesaggio pedemontano, pastorizia, Poligono del Ciaurlec, Travesio, Val del Cosa

 

Domenica 25 settembre 2016

Ritrovo ore 9,00 sul piazzale della Stazione ferroviaria di Travesio

L’escursione lungo il torrente Cosa è stata pesata per cercare di capire la geografia dei luoghi e il complesso ambientale che vede ilcorso del Cosa come una sorta di confine tra l’insediamento di travesio appoggiato a una pianura di ghiaie trasportate da un antico letto de Meduna e i sistema dee colline di Castelnovo dove e argille si appoggiano agli ambienti calcarei del Ciaurlec.

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Il ponte sulla forra del Cosa

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Le praterie aride nei pressi della pieve di San Pietro

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Terrazzamenti recuperati sotto il colle del castello

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Tipico portico in legno dell’architettura di Castelnovo

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Un alpaca della Zalpa

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Il ponte sul Cosa a Paludea

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La fontana del Tof

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La cava di marna del cementificio

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Un sentiero arginato per le pecore

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portico di una abitazione tradizionale nel paese evacuato di Praforte

Percorso

Come arrivare: Per chi arriva dall’autostrada deve uscire a Cimpello, risalire i Meduna fino a Sequals e da qui prendere in direzione Travesio.  Chi arriva dall’udinese, invece, dovrà raggiungere Spilimbergo per Dignano e poi risalire per Lestans.  Chi proviene dalla pedemontana di Maniago deve prendere la direzione di Meduno e poi Toppo.

La stazione di Travesio è posta nei pressi della frazione di Usago, a Sud del Capoluogo. Di fronte alla stessa c’è un ampio parcheggio alberato.

Tempo di percorrenza:   8 ore lunghezza 14 chilometri e circa 400 metri di dislivello

Grado di difficoltà:  da escursionisti il tratto della forra, mentre il resto è prevalentemente su strada.

 

 

Motivazioni per la scelta dell’itinerario

Lo storico sistema economico dell’agricoltura di Travesio e Castelnovo si faceva forza di una straordinaria dotazione di terre pubbliche poste sul massiccio calcareo del Ciaurlec. I territorio arido era privo di acqua, ma era un’ampia prateria inclinata incisa dal Cosa e qui si ricavava gran parte dell’erba che sorreggeva un sistema di produzione casearia che aveva il suo centro sul latte di vacca e su una buona quantità di prodotti pecorini.  Il censimento degli animali del 1868 rende conto del patrimonio zootecnico dei due  comuni.

cavalli muli asini tori vacche giovenche buoi torelli e vitelli pecore capre Maiali
Castelnovo 8 52 24 4 483 104 158 538 64 248
Travesio 13 1 8 252 52 38 76 152 1 17

Si può così notare come a Castelnovo la produzione di carne di vitello e torelli fosse una importante fonte di guadagno, così come la diffusa presenza di animali da soma fa pensare all’utilizzo degli stessi nelle carovane dei commercianti migranti in nord Europa. A Castenuovo non c’erano tori perché le lavorazioni sui terreni privati erano fatte per lo più a zappa, diversamente a Travesio i buoi erano abbastanza diffusi, ma si usavano anche le vacche per tirare l’aratro. Le capre a Castelnovo erano usate per sfruttare le parti meno produttive della forra del Cosa, mentre le pecore pascolavano nell’ampia prateria arida del Ciaurlec e a sera rientravano al paese.

Il forte contrasto tra un ambiente ricco d’acqua, il Cosa e i suoi affluenti, e uno arido, il Ciaulec, caratterizzava il paesaggio e le pratiche antropiche.

Un po’ di Storia del paesaggio agrario

Il paesaggio che vedremo invece oggi è del tutto diverso e mutato rispetto al passato.  La gran parte degli animali è scomparsa e soprattutto sono scomparse le praterie che rendevano evidente la presenza dei ruminanti. Oggi le aziende agricole sono pochissime e trovare degli esempi di ripresa non è facile. La modernità è affermata paesaggisticamente dal grande cementificio e dalle cave di marna ora fermi per la crisi dell’edilizia.

Il simbolo di quella che è stata una delle prime vertenze ambientali in provincia oggi riposa muto costruendo un paesaggio ridondante di luci notturne nella pianura di Usago. Qui il moderno di è espresso lasciando ampio spazio alla natura che ha interpretato con il bosco ogni spazio residuale, al punto che la vegetazione che una volta era rarissima oggi è per eccellenza il principale carattere della Val del Cosa.

Negli anni ’60 il ministero della difesa si affacciò nella valle con l’intenzione di costruire uno dei più vasti poligoni di tiro della regione. Per farlo espropriò comuni e privati di tutte le terre del versante in riva destra del cosa. Per problemi di sicurezza fecero abbandonare il paese di Praforte e impedirono per decenni il transito sulla zona del monte menomando l’economia delle piccole aziende agricole. Lentamente la gente di Castelnovo e Travesio cominciò a dimenticare questi luoghi bombardati dall’artiglieria pesante dell’Ariete.  Il poligono divenne una sorta di luogo separato e anche dopo l sia dismissione all’inizio degli anni ’90 questi settori del territorio sono rimasti poco frequentati. Cartelli, postazioni, l’osservatorio Tigre e i diffusi crateri sono oggi elementi di archeologia del contemporaneo.

 

Il percorso

La nostra escursione partirà dalla stazione di Travesio per raggiungere Molevana e visitare il caseificio Tre Valli costruito per preservare la tradizione casearia della zona, ma sottoposto a forti tensioni a causa dei problemi del mercato del latte. Da qui raggiungeremo il Cosa in un punto speciale chiamato il Puntic. Un ponte ingiustamente definito romano che supera il torrente nel punto in cui questo ha profondamene eroso il materasso alluvionale depositato dall’antico corso del Meduna. Qui il fiume è contornato da un ambiente di vegetazione selvatica di nuova formazione e i sentieri che si raccordano al ponte garantivano i collegamenti con Castelnovo e le sue borgate.

Dal ponte ci dirigeremo alla volta della chiesa pievana di San Pietro, punto focale della colonizzazione religiosa nella pedemontana. Cercheremo così di visitare l’interno perché qui c’è uno dei cicli pittorici più importanti del Pordenone. I ciclo di dipinti dedicato a San Pietro ci è particolarmente utile perché rappresenta i fatti nel contesto paesaggistico della pedemontana d’inizio XVI secolo. Infatti l’artista rinascimentale, tanto attento alle prospettive dei fondali, fu presente in chiesa nel 1516-17 e nel 1525-26. Gli affreschi illustrano storie della vita di San Pietro, tra cui, nel soffitto, Pietro accolto in cielo. Inoltre storie di S. Paolo, con la folgorazione sulla via di Damasco, ed episodi del vecchio e nuovo testamento, con figure di Santi e putti. Nel sottarco figure femminili allegoriche: Prudenza, Temperanza, Carità, Fede, Giustizia e Fortezza.

 

I colli prativi con sopra i castelli ricordano l’ambiente di Pinzano e Castelnovo, luoghi ben conosciuti da pittore.

La pala dell’altar maggiore è del genero del Pordenone, Pomponio Amalteo, che la realizzò nel 1537, raffigurando la Madonna del Rosario e i Ss. Sebastiano, Rocco, Antonio Abate. I prii due proteggevano gli uomini dalla peste, San Antonio, invece proteggeva gli animali che si muovevano su quel paesaggio di colline e monti che fa da fondale alla scena sacra.

Ancora una volta il nostro interesse è porre la distanza tra le forme del paesaggio antico e quello del nostro presente.

Passeremo per il centro del paese che si distribuisce lungo il Cosa che in questa zona è poco profondo e che era ricco di incontri con l’acqua e opifici idraulic. Arriveremo alla fine della cortina edilizia dove la chiesa di Zancan, la borgata di Travesio che nelle giornate invernali subiva i danni di una scarsa esposizione solare, si protende sullo spazio pubblico con un bellissimo portale del Pilacorte.

Costruire altri edifici lungo il torrente era impossibile perché sarebbero stati all’ombra per molti mesi all’anno. Per questo, lungo uno storico sentiero, ci sposteremo un po’ più in alto sul Cosa dove attraverseremo una serie di borgate di Castelnovo poste in alto sul fiume, in una posizione molto bella da un punto di vista panoramico. Questa nuova direttrice insediativa sgrana gli abitati di Ghet, Braida, Vidunza e Martiners, dove ci fermeremo per farci raccontare l’esperienza dagli amici di Zalpa che qui allevano esotici Alpaca.

Da Martiner schenderemo nuovamente sul Cosa nell’ampio anfiteatro di colline occupato da molti borghi posti al piede dei colli di argilla.

Lungo il sentiero raggiungeremo la fontana del Tof e poi Almadis, l’ultimo paese prima della forra che giustificò a costruzione di uno sbarramento per la produzione di energia elettrica, il bacino del Tul. Poco sopra Almadis avremo modo di notare l’insediamento medievale posto su Col Monaco e la cava di arenaria del cementificio ora non utilizzata e in fase di naturalizzazione.

Per un sentiero costruito per impedire alle pecore di entrare nei terreni privati, quindi incassato nel terreno e rinforzato con muri in arenaria chiara, saliremo rapidamente verso il bordo della forra del Cosa entrando nel poligono di tiro. Incontreremo per primo il poligono per e armi leggere e poi saliremo di un centinaio di metri un sentiero poco segnato per raggiungere uno straordinario belvedere su Clauzetto, il Tagliamento e la pianura.

Da qui attraverseremo il poligono di tiro e i prati che si sono conservati grazie all’effetto degli incendi provocati dalle esplosioni. Oggi il poligono abbandonato può essere una importante risorsa per le due comunità. La superficie della parte di Castelnovo corrisponde a circa il 40% della superficie del comune ed è stato riconosciuto come Sito di Interesse Comunitario dall’UE per i suoi valori ambientali. In sapore di dismissione diventa importantissimo far iniziare un dibattito sul riuso con nuove forme di agricoltura di uno spazio così grande e strategico.

Da qui per la strada normale scenderemo verso la borgata di Praforte, evacuata negli anni ’60 e oggi quasi completamente diroccata.

In serata raggiungeremo l’agriturismo Alle Genziane, dove Doriana Bertin ci racconterà la sua esperienza di agricoltura e trasformazione dei prodotti e dove chi vorrà si potrà fermare con noi per la cena.

Le aziende che visiteremo

Latteria TreValli a Molevana di Travesio 

Via Garibaldi, 20

tel: 0427-908317

A Molevana di Travesio il locale caseificio è recentissimo, del  28 dicembre 1991. Si è trattato del tentativo di unire una serie di latterie turnarie della zona: Molevana, Travesio, Toppo, Sottomonte, Meduno e Fanna poi dimostratosi insufficiente per riorganizzare la produzione casearia. Il nome doveva far capire che si trattava di trattare il latte di allevatori che operavano in Val D’Arzino, Val Cosa e  Val Tramontina. In un primo momento la produzione fu concentrata su tre caseifici: Molevana, Toppo e Sottomonte. Poi, con la pubblicazione dei bandi 5B, si decise di ristrutturare il caseificio di Molevana, che doveva diventare l’unico stabilimento di produzione della cooperativa. Tra il 1999 e il 2000 che ha registrato una riduzione dei soci da 65 a 23. Il caseificio lavora giornalmente 80 q.li di latte, trasformato per il 90% in Montasio e dispone di 3 punti vendita (Molevana, Meduno, Cordenons) dove viene venduto circa il 40% della produzione. CI faremo spiegare il significato della riscoperta del “salato”. La cooperativa, con la ditta Tosoni e Rosa Dorigo hanno inoltrato la richiesta all’UE per un riconoscimento IGP di questo tipo di formaggio con il desiderio di chiamarlo “Formaggio salato Asino”, anche se l’Asino era un’altra cosa e oggi non lo produce nessuno. Oggi la cooperativa è stata assorbita da una società privata e gestita da Mario Canderan.

 

Azienda agricola Zalpa a Castelnovo

Stefano Blarasin ed Edoardo Braida sono due giovani che hanno deciso di costruire una nuova e speciale azienda a Castelnovo in una zona di abbandoni e di difficile ripresa delle attività agricole. I ragazzi della Zalpa hanno deciso di allevare alpaca e di coltivare zafferano. Attività agricole che hanno poco a che fare con la zona. Proprio per questa capacità di inventare nuove strade l’azienda ha ricevuto attenzioni e premi e sarà interessante vedere sviluppare Zalpa nel prossimo futuro.

 

Agriturismo Alle Genziane

Doriana Bertin una quindicina di anni fa ha coinvolto tutta la famiglia in un progetto di radicale riforma dell’azienda agricola costruendo una filiera corta allevando i propri maiali e realizzando salum , con il marchio salumi Cortina, che vende nel bar-spaccio presso la ex latteria di Travesio. Qui ha attrezzato un piccolo negozio che propone prodotti di qualità prodotti da altre aziende come la latteria di Pradis. Oltre a questo l’azienda produce farina di mais di qualità in varietà tradizionali.

www.allegenziane.it

Per partecipare

La passeggiata si svilupperà per lo più su stradine asfaltate, ma ci sarà anche un sentiero in ripida salita quindi consigliamo scarpe da trekking e un abbigliamento pesante nel caso cambi il tempo. L’itinerario ci porterà al’agriturismo dove alcune auto di appoggio riporteranno gli autisti a Travesio.

L’escursione prevede una camminata lenta di circa otto ore consigliabile ad escursionisti allenati.  Chi viene con i figli è pregato di prestare a loro le dovute attenzioni.

Vi raccomandiamo un abbigliamento conforme alla stagione variabile soprattutto in considerazione delle previsioni del tempo.

Per i problemi finanziari dell’associazione le escursioni di Luoghi&Territori non sono gratuite, ma sottoposte a una quota di rimborso spese per compensare i costi organizzativi. I non iscritti pagheranno 5 euro mentre gli iscritti 3. Per i bambini rimane tutto gratuito.

 

Numero massimo di adesioni: trenta con obbligo di prenotazione.

Per informazioni e prenotazioni:

Moreno Baccichet: 043476381, oppure 3408645094, moreno.baccichet@gmail.com

Informazioni aggiornate saranno inserite nel sito dell’associazione: www.legambientefvg.it e www.luoghieterritori.wordpress.com

Ringraziamo per il prezioso aiuto la Regione Friuli Venezia Giulia

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I segni nei pascoli

23 sabato Gen 2016

Posted by Walter Coletto in Esplorazioni, Luoghi & Territori

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Tag

Aviano, boschi, Esplorazioni, paesaggio, Paesaggio pedemontano, pastorizia

Tempo fa un amico, mi disse che uno dei grandi valori paesaggistici sottovalutati che il Friuli aveva era il vuoto.
Erano gli anni in cui nel vicino Veneto imperversava la città diffusa con i distretti industriali che producevano a pieno regime ed esportavano ovunque.
L”aspetto estetico di un vuoto pieno solo di natura , al posto di case e capannoni, confesso mi aveva affascinato.
Negli anni sucessivi con innumerevoli esplorazioni, a piedi , ho percorso buona parte di quel “vuoto” ed ho scoperto che è depositario di una quantità notevole di informazioni che riguardano non solo il mondo vegetale ed animale tanto caro a faunisti e naturalisti ma conserva anche testimonianze di quell’attività umana che spesso lo ha segnato in modo indelebile.
Nel percorrere questi territori è diventato per me istintivo cercare tracce di questa colonizzazione.
Colonizzazione che risale a molto tempo addietro e molto spesso interpreta i luoghi in maniera talmente accorta da sembrare “naturale”, segno che in passato l’uomo più che addomesticare i luoghi sapeva adattarvisi con intelligenza.
Adattamento del resto assai sensato se si pensa che gli strumenti di lavoro non eccedevano la forza fisica del uomo e a volte degli animali e gli attrezzi molto spesso erano solo di legno.
I segni nei pascoli è  il risultato di una di queste esplorazioni o come le chiamano i Surrealisti deambulazioni, per i pascoli del Pian Cavallo.

Malghe del Pian Cavallo pascoli della casera Barzan

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I resti della vecchia Casera Val Fredda posta come si vede al centro del pascolo

Bosco_casera_pascoloUn primo dato che traspare è la presenza del bosco che sta riconquistando gli spazi a pascolo da cui è stato estromesso in passato, ne è testimonianza certa la posizione della casera che ora è al limite tra pascolo e bosco mentre come si vede nelle casere successive, qualche chilometro dopo,  l’immobile è si trovava al centro del pascolo.

Il fatto che la natura stia attuando il suo progetto di riconquista non è di perse un problema (almeno in questa sede), ma questo fa capire che quanto noi oggi vediamo e frutto di una colonizzazione del lavoro degli uomini, ci troviamo in buona sostanza in uno luogo antropizzato.

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Pascoli di Casera Caserata

Bosco_Affioramenti

Il bosco avanza riconquistando pascoli magri segnati da affioramenti di roccia.

 

 

 

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Malga Caseratta pascoli

masiere

Gli accumuli di sassi nel pascolo sono il segno di dissodamenti operati per rendere il pascolo più ricco e per  accumulare materiali da utilizzarsi per la costruzione di recinzioni e casere.

 

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Resti della vecchia casera Caseratta

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Pascolo Casera Caserata

Resti_Mandre

 

 

 

 

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Vista dalla Casera Caserata verso la Casera Val Fredda sono particolari i disegni sul pascolo costituiti dall’incrocio dei muretti verticali dei recinti e dalle emergenze rocciose in mezzo al pascolo. Le suddivisioni nei pascoli consentivano di spostare gli animali di parcella in parcella così da concimalo a rotazione tutto.

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Ricovero animali (mandra) con resti di edifici

iIpotesi

 

 

 

 

 

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Vista della casera Val Fredda nella sua nuova collocazione più vicina alla nuova strada forestale

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In primo piano la viabilità forestale ed in ombra la cava di prestito utilizzata molto probabilmente per la realizzazione dell’infrastruttura.

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I resti di una mandra per il ricovero degli animali, si noti la presenza all’interno del recinto di una vegetazione arbustiva più ricca dovuta probabilmente alla presenza di un terreno maggiormente concimato dalle deiezioni animali.

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Resti di un manufatto interrato che ptrebbe far pensare o ad una vasca di raccolta dell’acqua o ad una ghiacciai.

 

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Oltre l’industrializzazione della “bassa”: Panigai (Pravisdomini) e Azzanello (Pasiano)

09 mercoledì Dic 2015

Posted by Walter Coletto in Esplorazioni, Luoghi & Territori

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Tag

acqua, Aziende virtuose, Esplorazioni, paesaggio, Panigai, zone umide

Domenica 13 dicembre 2015

 Ritrovo ore 10,00 in piazza a Panigai

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programma Panigai Azzanello

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Un documento sul Piano Paesaggistico Regionale del Friuli Venezia Giulia

16 lunedì Nov 2015

Posted by Moreno Baccichet in documenti

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Tag

paesaggio, PPR FVG

A seguito del seminario di Luglio che abbiamo organizzato a Casarsa abbiamo costruito questo documento che descrive la posizione di Legambiente FVG rispetto al processo di pianificazione intrapreso dalla Regione FVG.

Il documento è entrato a far parte del documento congressuale di Legambiente FVG e vuole essere di stimolo nel dibattito che sta seguendo la redazione del PPR FVG.

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Documento sul paesaggio per il Congresso di Legambiente FVG

Casarsa, luglio 2015

Nel 2012 Legambiente FVG ha organizzato un importante convegno intitolato “Aspettando il Piano paesaggistico del Friuli Venezia Giulia”. In quell’occasione (giunta Tondo) avevamo affermato provocatoriamente che “il paesaggio è il più antico documento del Friuli Venezia Giulia” e avevamo chiesto delle scelte operative. Oggi la situazione è molto cambiata. La giunta Serracchiani ha intrapreso, a partire dal 2014, un processo di pianificazione paesaggistica che dovrebbe condurre al PPR nel 2016.

Se nel 2007 (PTR del giunta Illy) la questione paesaggistica era stata semplicemente banalizzata e considerata un corollario a un Piano Territoriale Regionale quasi privo di idee e utile solo a definire poche scelte strategiche, dal 2009 l’idea di un Piano Paesaggistico autonomo si è evoluta al punto che l’attuale assessore, nel promuove l’azione di pianificazione, ha più volte affermato che il PPR avrà un ruolo sovraordinato persino al PGT, di fatto oggi congelato.

L’inizio delle procedure di formazione del piano ha visto da parte della Regione una estesa azione di ricognizione dei vincoli che sta lentamente raggiungendo la fase di definizione normativa. Questo progresso della fase di lettura dei beni vincolati è costantemente reso pubblico dalla realizzazione di giornate di esposizione del lavoro, chiamate impropriamente workshop, con le quali l’assessorato da conto dello stato delle indagini dei diversi beni paesaggistici indagati.

Parallelamente la Regione ha incaricato l’Università di Udine di seguire la parte così detta strategica, che avrebbe dovuto interfacciarsi con le comunità locali attraverso strumenti partecipativi definiti impropriamente “mappe di comunità”.

Questa idea di tentare un rapporto partecipato con le comunità locali ci è sembrata fin dal primo momento un elemento di interesse nella modalità nuova di costruzione del Piano Paesaggistico Regionale. A ottobre invece questo percorso è stato interrotto a favore di una partecipazione che si limita alla costruzione di un catalogo di segnalazioni dei beni paesaggistici, attivabile dai singoli cittadini attraverso un portale web. Le “mappe” partecipate elaborate dal basso sono completamente sparite di fronte al desiderio di semplificare la partecipazione.

Questo pericoloso cambio di indirizzo sembra un elemento sostanziale rispetto a quanto affermato dalla struttura e dall’assessore Santoro più volte in ambito pubblico. L’idea di un PPR che in alcuni ambiti riesca a scendere a un livello di dettaglio grazie allo strumento della copianificazione sembra essere accantonato per ritornare sulle posizioni tradizionali di una pianificazione paesaggistica che legga solo i macro temi costruendo normative alle quali dovranno adeguarsi i PRG durante le diverse fasi delle varianti.

Nell’ultimo mese di ottobre sembra quasi che quanto c’era di innovativo nei presupposti del nostro Piano Paesaggistico sia stato accantonato per dare una risposta più tradizionale. E‘ evidente questo cambio di marcia se si considera che la regione sta valutando di semplificare il quadro degli ambiti di paesaggio che a noi sembrava già fin troppo semplificato. Che significato ha semplificare le letture se non quello di evitare di confrontarsi con un mosaico paesaggistico molto complesso? Che senso aveva iniziare un processo di copianificazione con comunità locali che ritengono di avere dei valori identitari comuni se poi questi valori vengono annacquati in una lettura che sembra fatta dal finestrino di un aereo in volo sulla regione? Cosa serve coinvolgere comunità e singoli cittadini in una puntuale raccolta di dati e segnalazioni se poi ci si vuole limitare a una lettura e a una progettualità che affronti solo i temi alla scala regionale?

Tutto questo ci sembra un pericoloso cambio di passo rispetto all’iter intrapreso dalla Regione che andrà seguito con attenzione nei prossimi mesi perché la scelta di lavorare per indirizzi o nel dettaglio è determinante per l’esito di questo processo di pianificazione.

Dopo questa premessa entriamo nell’oggetto del seminario:

La struttura del Piano Paesaggistico Regionale

Nel 2007 costruendo il documento di critiche al Piano Territoriale proposto dalla giunta Illy, avevamo chiesto di valutare l’ipotesi che il PTR, per la parte che aveva un valore paesaggistico, trovasse il modo, per essere efficace e non superficiale, di essere composto per parti e non avere necessariamente un aspetto “finito”. Anche il Veneto in questo momento sta lavorando a un piano paesaggistico composto per parti o aree. Questo pone anche un problema formale dello strumento nel momento in cui la componente del piano che proviene dalla vestizione dei vincoli, in gran parte in via di completamento, sarà estesa a tutto il territorio, mentre quella relativa ai territori andrebbe a definirsi per fasi successive.

Gli accordi di copianificazione che l’amministrazione regionale sta tessendo con le amministrazioni locali pongono poi il problema del rapporto con una lettura che viene dal basso della piramide pianificatoria. Come questo principio, che ci sembra più che legittimo, può trasformare il piano?

Il piano come processo di conoscenza pubblica e condivisa può essere una opportunità progettuale di straordinario valore. La lettura dei territori non può essere condotta solo con l’impegno dei saperi esperti. La lettura partecipata presuppone la possibilità di leggere con i cittadini il carattere evolutivo del paesaggio prefigurando le prossime trasformazioni.

Dobbiamo evitare che il PPR diventi una sorta di grande atlante costruito da esperti che legga solo lo stato attuale dei luoghi definendo le invarianti territoriali come un disegno sovraordinato e calato dall’alto.

Le ultime esperienze di pianificazione del paesaggio hanno prodotto documenti analitici molto importanti per le regioni Puglia e Toscana, senza però produrre rilevanti novità sul fronte normativo del piano. In modo particolare il tentativo di applicare norme figurate nel piano della Toscana deve essere seguito e implementato. Si deve raggiungere l’obiettivo di una profonda conoscenza del territorio e della sua componente paesaggistica, ma questa fase di ricerca non deve inficiare un attento sviluppo della parte degli indirizzi e delle norme e questo approfondimento non deve essere fatto senza coinvolgere le comunità locali.

Le norme devono essere facilmente comprensibili anche a cittadini non abituati ai linguaggi dell’urbanistica e devono rendere possibile comprendere immediatamente quali obiettivi di trasformazione si pone il piano alle diverse scale. Il piano dovrebbe avere delle norme prescrittive, come prevede il rapporto con il Ministero e l’attenzione alle zone vincolate, ma anche norme di indirizzo, obiettivi di politica territoriale. Il piano può dare la possibilità alle comunità locali di disegnare, con una proiezione almeno ventennale, il proprio sviluppo locale facendo uso delle tecniche della pianificazione strategica.

In questo senso chiediamo alla Regione di istituire lo strumento del “progetto di territorio” che potrebbe permettere di collegare i progetti di sviluppo locale, disegnati con un atteggiamento teso a valorizzare le strategie condivise dal livello regionale e da quello locale, con la prioritaria utilizzazione dei programmi di finanziamento, come il Programma di Sviluppo Rurale. Il PdT potrebbe diventare uno strumento partecipato che permetta alle comunità rurali di accedere a risorse regionali attuando progetti di sviluppo rurale finanziabili prioritariamente con programmi regionali e/o europei.

Il PPR dovrebbe diventare uno strumento di progetto più che confliggere con le decisioni di tanta altra pianificazione regionale che si applica agli stessi oggetti territoriali, come ad esempio il piano di tutela delle acque. Se la parte statutaria deve necessariamente avere un carattere normativo, al di fuori delle tradizionali zone di vincolo è possibile pensare anche a nuove modalità di pianificazione paesaggistica. Atteggiamenti meno prescrittivi e normativi. Appunto progettuali e di accompagnamento, che permettano alle comunità locali di crescere in consapevolezza coltivando il loro paesaggio.

Allo stesso modo non crediamo che sia necessario che il piano sia realizzato subito e integralmente, ma crediamo che possa definirsi poco alla volta, per parti, caratterizzandosi quindi come un processo di pianificazione. Del resto la disciplina mostra sempre di più la necessità di scendere a una scala di maggior dettaglio e di definizione progettuale, e anche nel caso del Piano Paesaggistico della Lombardia (2010), la decisione di costruire un quadro di riferimento paesaggistico poco dettagliato ha costretto quella amministrazione regionale ad affrontare il tema di una nuova stagione di approfondimenti. Noi crediamo che il PPR del FVG debba essere un piano-processo che eviti gli errori di una prospettiva troppo generalista. Per contro crediamo che un piano composto per parti, con approfondimenti alla scala d’area vasta, potrebbe in qualche modo coordinare la lettura ambientale della pianificazione comunale.

La partecipazione e la comunicazione dei processi di pianificazione

Le modalità con le quali giungere a costruire il documento di piano sono fondamentali per il risultato del prodotto e non possono fermarsi all’applicazione di una ritualità burocratica. Il piano dovrebbe cogliere l’opportunità di crescita della società che attraverso un processo aperto e partecipato cresce di consapevolezza conoscendo il proprio territorio. Da questo punto di vista il fatto che si sia tornati indietro rispetto alla possibilità di dialogare con le comunità locali attraverso mappe partecipate ci sembra un piccolo fallimento del processo di pianificazione.

L’occasione di sperimentare nuove forme di partecipazione che superino l’informazione sul piano e si muovano nell’ambito della coprogettazione potrebbe dare a questo piano due vantaggi importanti. Aprire fronti di discussione prima che le scelte di trasformazione territoriali si concretizzino in strumenti normativi, risolvendo prima i conflitti. Oppure, permettere alle singole comunità locali di definire i valori, le invarianti e le trasformazioni possibili nel proprio territorio. La partecipazione può essere qualcosa di diverso da una tecnica di lavoro, permettendo di ottenere una maggior conoscenza del territorio pianificato e una definizione degli strumenti di trasformazione.

Crediamo che si debba pensare che le comunità sono in grado di gestire la fase della raccolta dei dati e della loro elaborazione per un sano principio di sussidiarietà e abbiamo ribadito in più sedi che il piano può completarsi come un processo, per parti, a seconda dell’opportunità che di volta in volta si presentano nei diversi territori. Del resto se il paesaggio viene definito nella Convenzione Europea del 2000 come l’idea che la popolazione ha del luogo abitato come si può pensare che ancora oggi si predispongano gli strumenti e le norme che definiscono l’azione del piano senza sentire gli abitanti e non solo le amministrazioni?

Siamo convinti che un piano costruito con la visione dall’alto da un pull di esperti rischi di scorgere solo alcuni valori dei territori, mentre stimolando anche una lettura da parte delle comunità il valore e il senso dei luoghi possa essere perseguito meglio. Soprattutto nella lettura dei valori naturalistici l’interazione tra saperi esperti e saperi locali potrebbe accrescere il valore delle analisi. Anche all’interno della comunità locale la discussione sui valori paesaggistici può diventare un’occasione di scambio tra persone che hanno idee diverse sullo sviluppo locale permettendo scambi di informazioni e una preventiva mitigazione delle pretese.

La nostra associazione guarda con interesse alle esperienze delle charte paysagere francesi che sono degli accordi tra singoli cittadini, associazioni, enti e amministrazioni per disegnare una visione di sviluppo del paesaggio che non presenta un apparato normativo di tipo tradizionalmente prescrittivo. Crediamo che le evocate “mappe di comunità”, quelle che per gli inglesi sono le “parish map” dovrebbero anche assomigliare ai “parish plan” che sono strumenti di pianificazione territoriale partecipata. Occasioni di discussione e dialogo che scaturiscono dal basso, lontano dagli schemi di un dibattito ingessato da scelte che si sono già fatte in altre sedi, come spesso è accaduto per i diversi processi di Agenda 21 che hanno affiancato la pianificazione regionale o quella comunale.

Crediamo che modalità anche informali di coprogettazione debbano essere perseguite abbandonando la logica di una più rapida realizzazione del PPR all’interno dell’orizzonte degli uffici e delle consulenze ricercate dall’assessorato, ritornando allo spirito originario della norma.

Limitare il rapporto con i cittadini a pochi eventi gestiti in modo strutturato da facilitatori e pensare di governare un processo di conoscenza e di costruzione della dimensione del progetto attraverso uno strumento di segnalazione dei luoghi di valore ci sembra davvero troppo sbrigativo e superficiale. La scelta degli strumenti di partecipazione è fondamentale perché sceglierne uno o l’altro porta a selezionare i partecipanti privilegiando di volta in volta i portatori di interesse di questa o quella categoria e lasciando fuori, per esempio, chi non riesce a usare gli strumenti informatici, o chi si limita a non leggere in modo puntuale i luoghi. Non vorremmo che ancora una volta la partecipazione fosse declinata come uno stanco rituale di corollario al piano come si è visto in occasione dei Piani di Gestione dei siti Natura 2000. La partecipazione non deve privilegiare i professionisti della rappresentanza, deve essere una possibilità per tutti. Uno dei problemi del PPR del FVG è che è poco chiaro come sarà gestita la partecipazione (sappiamo solo che non si produrranno “mappe”), ma soprattutto non ci è dato sapere a cosa servirà. Segnalare un luogo di valore non necessariamente comporta una idea di tutela o di valorizzazione. C’è il rischio che le energie di indagine non producano una contropartita normativa e/o progettuale. In un processo partecipato sono importanti due prerequisiti che la Regione deve garantire:

  1. va messa a disposizione in forma semplice ogni informazione necessaria a poter esprimere il proprio punto di vista;
  2. serve un’interazione costruttiva e un ascolto attivo e dialogante

Non si capisce come ci possa essere un dialogo costruttivo attraverso lo strumento informatico che pure è utile per raccogliere dati, ma non per costruire confronto tra cittadini ed istituzioni.

Gli osservatori o l’osservatorio?

Crediamo che fin dai primi momenti della costruzione del PPR si cominci a definire e a strutturare l’Osservatorio del paesaggio in modo che risponda fin da subito alle sue funzioni. Si tratta poi di capire se questo strumento avrà scale diverse, come in Puglia e Toscana, cioè se ci saranno anche osservatori locali che permettano di monitorare le trasformazioni paesaggistiche. Nel caso pugliese gli osservatori sono stati anticipati dall’attività svolta dagli ecomusei nel tentare una lettura partecipata dei valori territoriali poi tradotta in mappe di comunità. Sta di fatto che queste aree sono state in grado di partecipare alla formazione del piano e alla sua vita molto più che altre aree della regione.

Provocatoriamente alcuni anni fa abbiamo definito Scarpe&Cervello, la campagna di Legambiente FVG, un osservatorio del paesaggio e crediamo che esperienze come quella che abbiamo seguito per vent’anni debbano essere in qualche modo riconosciute dalla Regione. Far leggere e comprendere i paesaggi nella loro evoluzione può mitigare la disaffezione ai luoghi che attraversa la nostra società, ma può anche mitigare la tensione di certa parte della società per voler costruire apparati normativi da depotenziare nel momento in cui si aprono dei conflitti sulle trasformazioni d’uso del territorio. Qualsiasi strumento che renda esplicita la bellezza permetterà di aumentare il valore dei luoghi indipendentemente dal regime normativo.

Conservazione o visioni di Trasformazione?

Un piano di vincoli e/o progetti?

Le ultime esperienze nazionali di pianificazione paesaggistica hanno prodotto strumenti urbanistici nuovi e diversi. Il piano si concentra sempre meno sulle forme normative e sempre di più sul significato interpretativo e progettuale del disegno. Il piano diventa un documento di conoscenze e interpretazioni, uno strumento ricco di visioni e di progettualità che passano attraverso strategie e azioni. Lo strumento non si limita ad inventariare gli “oggetti”, ma cerca di governare i processi di trasformazione territoriale. Non dice solo cosa conservare, ma come governare processi complessi di trasformazione (spopolamento e abbandoni, concentrazioni e colonizzazioni). In questo senso sembra assumere il significato di un piano che riassume indirizzi di politiche della Regione e non solo le modalità di conservazione del patrimonio paesaggistico letto come una immagine statica .

Come Legambiente siamo stati attivi nella partita della norma sul consumo di suolo, che giustamente trova eco anche all’interno del PPR, ma cosa si pensa di fare per i territori consumati e in parte abbandonati, a partire dalle aree militari dismesse e dalle zone industriali abbandonate?

Su queste aree incerte, alle quali per la prima volta la convenzione europea del 2000 presta attenzione, ci si gioca la possibilità di superare con un atteggiamento progettuale un piano esclusivamente vincolistico alla vecchia maniera. Alcune esperienze di questo tipo sono rintracciabili nel piano della Toscana e ci sembra una buona occasione per il PPR del FVG che dovrebbe sviluppare ulteriormente questo indirizzo.

Con questo vogliamo dire che il piano deve avere un disegno strategico e progettuale, mentre in questo momento di analisi la strategia viene declinata solo nella lettura di un sistema di reti e non nella costruzione di “nuovi paesaggi”. In Friuli molti paesaggi tradizionali sono stati distrutti per costruire piattaforme produttive che hanno semplificato la rete ecologica, ma anche il valore simbolico del territorio. Cosa si può fare per recuperare gli spazi dei grandi riordini fondiari degli anni ’80 (Pantianicco/Flaibano) o quelli ormai storici della bonifica della bassa (Torviscosa, Precenicco, ecc.)? Come intervenire all’interno delle conurbazioni o nei confronti dei grandi centri commerciali sorti nei pressi dei nodi infrastrutturali?

Crediamo che l’elaborazione di qualsiasi apparato normativo su questi temi debba confrontarsi con i territori e le loro comunità. La Regione non può pensare ancora oggi che la pianificazione abbia significato se si appoggia ancora a una lettura gerarchica e sovraordinata.

La sensazione, al giorno d’oggi, è che sia la Regione che i consulenti dell’Università, non siano ancora in grado di definire una idea di strategia di piano che attribuisca al paesaggio quei caratteri multidisciplinari che dovrebbe avere. Per questo è importante ora più che prima che Legambiente FVG insista sul significato strategico di una visione politica dello sviluppo locale che leghi insieme l’apparato formale dell’azione delle molte comunità locali con le risorse che regione ed Europa gli mettono a disposizione.

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Paesaggi pasoliniani

29 mercoledì Apr 2015

Posted by Moreno Baccichet in Eventi

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Casarsa, conferenza, paesaggio, Pier Paolo Pasolini, Turismo culturale

Più volte nel tempo è stata sollevata la questione della sensibilità paesaggistica di Pier Paolo Pasolini, a volte legandola a quella di Nievo. Negli anni ’90 un progetto della Provincia di Pordenone aveva tentato di proporre una rilettura progettuale di alcuni luoghi affidandola a Paolo De Rocco.

2 maggio

Se l’esperienza di un parco dedicato a Pasolini è sostanzialmente naufragata, se si esclude la poerica ricomposizione paesaggistica di Versutta, il territorio negli ultimi vent’anni si è profondamente trasformato. Il paesaggio delle prime esperienze letterarie di Pasolini ha subito una evoluzione incrementale. A differenza dei paesaggi de Gli Ultimi di Turoldo, che sono stati completamente cancellati da un pesante riordino fondiario, quelli di Casarsa sono stati progressivamente invasi dai vitigni. I campi ad aratotorio, vitato e arborato sono scomparsi come le rotazioni, le concimazioni con letame e la varianza paesaggistica della policoltura tradizionale. La specializzazione in agricoltura e il disegno sempre più artificiale delle vigne ha profondamente mutato il paesaggio casarsese.

Quali messaggi si riconoscono ancora nel rapporto che Pasolini intratteneva con l’aspetto formale del territorio? Quell’unione tra paesaggio e uomini tanto cara all’artista può essere riconosciuta nella modernità? Ha ancora senso pensare di recuperare alcuni luoghi letterari oppure le atmosfere di quello storico paesaggio possono essere ormai riconosciute solo negli eterei paesaggi lagunari di Porto Buso?

Ne parleremo tra pochi giorni in questo convegno a margine della Sagra del Vino.

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Per due anni cercheremo di riconoscere il rapporto che intercorre tra le pratiche alimentari e il paesaggio

08 mercoledì Apr 2015

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni

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Aviano, Esplorazioni, Marsure, paesaggio, pastorizia

Il Cibo produce e trasforma i paesaggi

Letture del paesaggio agrario del Friuli Occidentale

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La campagna di ricerca partecipata, dedicata per il 2015/16 al rapporto tra cibo e paesaggio, vuole attivare un osservatorio sulle recenti trasformazioni dei paesaggi agrari della provincia di Pordenone. La produzione di alimenti per la popolazione, insieme alle attività di estrazione e trasformazione, ha sempre influenzato il modo diretto l’idea che l’uomo ha dell’aspetto formale del territorio. Sul suolo nel tempo si sono succedute numerose forme economiche che hanno di volta in volta interpretato il sostrato geopedologico a volte stravolgendo l’aspetto dei luoghi. Pensiamo per esempio alla pianura arida posta a monte delle risorgive e disboscata nel medioevo per costruire un paesaggio di praterie oggi conservato solo attraverso pochi brandelli di madredi tutelati per legge. Queste zone oggi sono quelle maggiormente infrastrutturate da un punto di vista agricolo, con un disegno colturale che vanta poco più di cinquant’anni. In modo del tutto opposto i grandi pascoli delle Prealpi Carniche, che tra medioevo ed età moderna, permettevano di vendere carne e lana in pianura, oggi stanno diventando delle boscaglie infruttuose.

L’economia, ma anche le mode alimentari, influenza in modo determinante l’evoluzione del paesaggio. Questi cambiamenti sono così lenti che a volte non riusciamo a percepirli, ma percorrere il territorio a piedi ci permetterà di incontrare nuove occasioni di trasformazione e anche qualche occasione di dibattito e critica.

Il cibo da sempre produce paesaggio quindi le scelte di produzione e di modelli di vita influenzano moltissimo le trasformazioni colturali. Cercheremo di approcciare al problema fornendo a noi e a chi ci accompagnerà una lettura diacronica delle trasformazioni paesaggistiche dimostrando che alcuni prodotti che consideriamo storici sono stati inventati poco più di un secolo fa e che anche il concetto di recupero della tradizione a volte propone, nel bene e nel male, dei prodotti molti diversi da quelli originari.

Le campagne producono quello che le città chiedono e oggi che tutto il territorio è di fatto città, soprattutto in contesti densamente abitati come i nostri, la campagna esprime in termini paesaggistici l’idea delle comunità inurbate.

Non è un caso che oggi la campagna bruci cibo per produrre energia che sarà sfruttata nelle fabbriche. Cibo che viene considerato solo come un prodotto che deve lentamente fermentare per produrre gas che sarà trasformato in energia elettrica. In una società complessa come la nostra il rapporto tra cibo e territorio non può che essere complesso e anche in un ambito piccolo come il Friuli Occidentale abbiamo voluto organizzare più di una decina di discussioni peripatetiche su stradine e sentieri per cogliere certezze e dubbi. Lungi da noi l’intenzione di richiedere un passatista recupero della tradizione, il sistema del villaggio medievale autosufficiente non è di certo proponibile, ci limiteremo, invece, ad osservare quello che sta accadendo sul territorio per sollecitare azioni alla politica. Azioni che necessariamente devono muoversi su due fronti paralleli, quello dei produttori e quello dei consumatori. Queste sono due forze che continuamente interagiscono all’interno di un mercato che è sempre più globale, mentre il territorio ha una dimensione locale e micropaesaggistica.

Solo la politica può riuscire a costruire un’idea di futuro che metta in relazione le forze capaci di trasformare l’ambiente delle campagne. Alla politica il compito di promuovere nuovi stili di vita e di consumo come pure di controllare e promuovere le trasformazioni fisiche dei luoghi, in primis attraverso il Programma di Sviluppo Rurale che distribuisce sul territorio gran parte delle risorse dell’Unione Europea.

Il paesaggio non nasce dal caso ed è governato da ideali. Come spiegarsi altrimenti lo sviluppo di molte modalità di produrre cibo nei territori delle frange urbane? Non si tratta di una risposta a uno storico sradicamento del contemporaneo abitare?

Le società sentono sempre di più il significato etico di pratiche sociali di agricoltura e di collaborazione senza per questo rifarsi alle modalità di gestione comunitaria delle risorse agricole in età medievale. Anzi il rapporto “local” con le filiere di consumo responsabile e con l’autoproduzione si inserisce perfettamente in un quadro di consapevolezza che riconosce come la questione dell’alimentazione è un problema globale. Ancora una volta, per noi che proveniamo dall’ambientalismo scientifico degli anni ’70 del secolo scorso, il rapporto con i temi del cibo e dell’alimentazione va vissuto alle due scale: “pensare globalmente e agire localmente”. Ma questo pensiero non può essere privo di un approfondimento che tenga conto di una lettura diacronica e storica rispetto alla produzione del cibo nel nostro territorio.

Quasi tutte le cose che oggi consideriamo tradizione alimentare, vedi il formaggio di latteria, fanno fatica a vantare una storia più vecchia di un secolo. All’interno del disegno agrario bassomedievale che ancora oggi organizza i nostri territori si sono affermate e poi sono scomparse molte attività di produzione e trasformazione del cibo. Il disegno territoriale è rimasto lo stesso mentre la cultura agricola si è continuamente trasformata. E’ difficile descrivere cosa accadeva e si produceva in un determinato ambito del Friuli Occidentale, ma cercheremo di leggere con voi, a piedi, le trasformazioni degli ultimi 200 anni, quelli meglio documentati. Lo faremo anche incontrando chi oggi sta proponendo nuove tradizioni prossime a venire, mettendo i gioco la propria capacità imprenditoriale e i propri ideali personali.

Certamente, pur essendo un territorio di piccola dimensione, non riusciremo a raccontare la storia di tutti, ma ci dovremo limitare a una selezione di casi collocati lungo itinerari che hanno la capacità di rendere esplicita e comprensibile questa lettura diacronica del rapporto tra la produzione del cibo e il paesaggio.

 2015

12 aprile Aviano e Budoia l’allevamento tra tradizione e modernità

 Non sempre le attività di produzione del cibo si legano alla tradizione, ma molto spesso sono frutto di progettualità e di invenzione. Per esempio a metà dell’800 nella pedemontana pordenonese si produssero delle trasformazioni sociali ed economiche che provocarono la riduzione sensibile degli ovini e caprini e la nascita del moderno allevamento in stalla delle vacche da latte. A seguito di questo nacquero le latterie sociali e turnarie che oggi sembrano un elemento tradizionale. In questi anni tra Aviano e Budoia sono stati introdotti allevamenti di bufali che risultano essere tra i pochi presenti in regione, come pure è stata ripresa la produzione di latticini provenienti dall’allevamento della capra, sempre più richiesti. Tra tradizione e innovazione cosa sta cambiando nella pedemontana pordenonese?

 

10 maggio La rinascita culturale di Tramonti

Negli ultimi anni nell’alta Val Meduna si è assistito a una riscoperta identitaria dei luoghi anche attraverso a una ricerca attenta su alcune tradizioni alimentari. La riscoperta della Pitina e del Formaggio del Cit sono esemplari, così come la volontà dell’amministrazione della Villa di Sotto di aprire un forno sociale che produca pane biologico. Attorno alla istituzione del presidio Sloow food della Pitina sembrano ora nascere delle spontanee iniziative di allevamento della pecora in una zona in cui la storica tradizione dell’allevamento ovino aveva visto subire un secco collasso dell’attività. La riscoperta di un cibo è capace da sola di rilanciare anche un paesaggio corrispondente? Mangiando molta pitina aumentano le praterie artificiali? Camminando il territorio ci chiederemo appunto di queste nuove prospettive.

14 giugno Clauzetto

Gli altopiani ricchi d’acqua di Pradis a partire dal ‘600 furono fittamente insediati con decine di borghi di piccola dimensione legati per lo più all’allevamento di pecore e capre. Questa presenza fu in qualche modo organizzata anche in relazione alla produzione di prodotti facilmente vendibili in pianura. Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 sorsero le prime latterie sociali che producevano un nuovo formaggio del tipo montasio. Questo cambiò in modo radicale il rapporto con le risorse riducendo il pascolo brado e privilegiando l’allevamento in stalla di vacche che venivano alimentate con foraggio. La crisi di questa economia dopo la seconda guerra mondiale portò a un collasso del sistema economico dell’altipiano. Negli anni ’80 e ’90 furono tentate delle iniziative di modernizzazione (l’allevamento di ungolati selvatici sul monte Pala, coltivazioni intensive di patate, l’acqua Pradis), senza riuscire ad invertire la crisi delle produzioni alpine. Oggi su questi altipiani la ripresa dell’allevamento e di una nuova forma di attività casearia si percepisce come un elemento di continuità rispetto alla recente tradizione.

 

5 luglio Le casere del Cansiglio e la resistenza del formaggio di malga

Complice la facile geografia delle terre alte di Caneva e Polcenigo servita dal 1877 da una importante strada diretta al Cansiglio le malghe dell’altipiano hanno avuto una continuità d’uso fino ad oggi. Alcuni anni fa la crisi di questa attività fu contrastata con un progetto di valorizzazione del formaggio di malga e una generale ristrutturazione delle casere pubbliche. Nel complesso delle diverse esperienze produttive legate al settore caseario oggi ci sono esperienze tradizionali e altre più moderne, come quella di una fattoria didattica estiva (Fossa di Sarone). Visiteremo poi Malga Col dei Scios, Malga Costa Cervera, Casera Fossa di Bena, Casera Cercenedo.

  

20 settembre Caneva: il figo, il vino e gli olivi

Negli ultimi vent’anni i territori della storica “canipa patriarcale” non sono certo diventati il nuovo “Collio” e le trasformazoni territoriali hanno subito fasi alterne di espansione e crisi. Il fitto particellato dei campi ha sempre inibito la costituzione di grandi aziende agricole e dove queste sono state costituite il disegno del suolo è profondamente cambiato. A Caneva è molto facile notare ambienti ben coltivati a fianco di cave di marmorino e a spazi inselvatichiti. Questi accostamenti creano uno stridore paesaggistico impensabile in altri settori del Friuli Venezia Giulia e forse anche l’incapacità di unire il prodotto ai valori positivi del paesaggio anche quando i prodotti sono innovativi e di qualità come quelli del birrificio Valscura di Sarone. Per questo la riscoperta delle coltivzioni di fico, gli impianti moderni di olivo e i vitigni autoctoni sembrano non essere ancora in grado di dare al paesaggio pedemontano un valore superiore a quello della roccia da cava.

 

 

11 ottobre Il Sanvitese e le acque

La conservazione e la protezione di una risorsa importante come l’acqua ha prodotto un importante progetto di forestazione attorno alle prese dell’acquedotto di Torrate. In pochi anni quest’ambiente sta cambiando il suo carattere paesaggistico da aree di agricoltura intensiva a una selva planiziale tornando verso un paesaggio tradizionale. Visiteremo poi un ambiente, quello del cimitero degli ebrei, costruito alcune decine di anni fa con un intento di restauro paesaggistico degli ambienti delle olle di risorgiva. Si tratta di un community garden gestito da volontari e soggetto a un suo speciale processo evolutivo. Da qui raggiungeremo la settecentesca azienda agricola di Braida Curti un tempo al centro di un sistema di risaie oggi scomparse.Attraverseremo poi un tratto di campagna ancora ben conservata per raggiungere Ramuscello, patria della moderna agricoltura friulana da quando Gheraro Freschi iniziò a stampare l’Amico del Contadino nel 1842.

 

 

29 ottobre Da Pinzano al Tagliamento a Travesio attraverso le colline argillose

Le colline argillose della destra Tagliamento in origine erano sfruttate da insediamenti nucleati (Pinzano e Valeriano) posti sui primi depositi ghiaiosi, ma più a monte questo ambiente fu colonizzato con insediamenti lineari e di vertice che si sviluppavano sui crinali più stabili. Insediamenti in equilibrio con condizioni orografiche difficili e oggi difficili da comprendere visto la crisi insediativa e lo spazio conquistato dal bosco.

Nonostante tutto negli ultimi anni in questa zona sono nate delle esperienze molto interessanti che reinventano alcune tradizioni locali (la cipolla della Val del Cosa, i vini autoctoni nuovamente impiantati, il recupero della coltivazione delle mele, l’allevamento delle capre). Visiteremo quindi questi esperimenti di nuova agricoltura nel solco della tradizione.

15 novembre Dopo l’industrializzazione della “bassa”: Panigai, Pramaggiore e Azzanello

La bassa del Friuli Occidentale è divisa tra Veneto e Friuli Venezia Giulia ma da sempre è caratterizzata nei settori della pianura umida da paesaggi piuttosto omogenei. In questo ambiente in antico c’erano tre piccoli feudi Panigai, Frattina e Salvarolo. Queste zone di antico disegno, e caratterizzate da un insediamento diffuso piuttosto antico, hanno visto consolidarsi alcuni centri con carattere anche industriale (Chions e Pramaggiore) e un sistema di agricoltura intensiva legata alla vigna nei territori più asciutti. Le ampie golene del Fiume e del Sile si contrappongono alle piane strutturate dall’agricoltura del vino di Lison. Eppure in questi ambienti ricchi di contrasto si stanno costruendo anche esperienze evolutive legate a un senso sociale dell’agricoltura.

 

29 novembre Orti sociali e agricoltura periurbana a Pordenone

Come può cambiare il rapporto tra città e campagna all’interno della diffusione insediativa della periferia di una città industriale come Pordenone? L’agricolttura periurbana sta diventando una importante occasione per ripensare anche la città e il suo rapporto con il cibo. Con una breve camminata cercheremo di toccare alcune esperienze attorno a Pordenone in cui l’agricoltura diventa anche simbolo di una nuova socialità solidale. Orti urbani, community garden, orti sociali sono segnali espliciti di nuove forme di una agricoltura di prossimità che oltre al valore specificamente produttivo valorizza anche un proprio significato simbolico.

2016

marzo Attorno alle colline di Cavasso e Fanna

Il paesaggio di formazione medievale era centrato su un insediamento sparso e sui limitrofi campi intensamente coltivati. Sul versante dei colli terrazzati si trovavano le coltivazioni di pregio e il pascolo alberato, i versanti settentrionali erano coperti di castagneti per integrare i farinacei, ma oggi quest’ordine è ormai quasi irriconoscibile. Nonostante tutto in quest’area sono sorte due azioni di recupero della tradizione agricola piuttosto interessanti, quella per il recupero della produzione delle mele antiche e quella per il rilancio della produzione della cipolla di Cavasso.

 

aprile I nuovi paesaggi dell’agricoltura industrializzata dell’alta pianura

I paesaggi dell’alta pianura pordenonese vanno considerati tra i più modernizzati dell’intera regione. L’arrivo dell’acqua dopo gli anni ’30, ma soprattutto i nuovi sistemi di irrigazione, ha permesso di costruire un ambiente ricco di nuovi disegni di modernità e di imprenditorialità. Le antiche praterie hanno lasciato il posto a vigne e coltivazioni di pregio. Attività impensabili solo mezzo secolo fa. Con questa escursione visiteremo le aree sabbiose di Ovoledo con l’esperienza oggi un poco in crisi della cooperativa di agricoltori della patata, i territori influenzati dalla continua crescita dei vivai di Rauscedo e le campagne della Richinvelda ormai colonizzate da vitigni forestieri, come il prosecco,

 aprile Le risorgive e gli allevamenti ittici

A partire dagli anni ’60 l’ambito paesaggistico della zona delle risorgive è stato reiterpretato dall’economia per costruire una sorta di distretto produttivo specializzato nell’allevamento industriale della trota. Moltissime aree di risorgiva sono state con il tempo attrezzate con grandi vasche in cemento per l’allevamento di trote provocando anche importanti problemi all’ecosostema delle risorgive. Oggi questa forma di utilizzazione del suolo sembra essere entrata in crisi a causa delle mutate abitudini alimentari che tendono a preferire il pesce allevato in mare. Sono poche le aziende che su questo settore riescono ad essere innovative come l’allevamento di Villanova di San Daniele. Con questa escursione visiteremo gli ambienti un tempo coltivati a prato umido e oggi residuali all’interno della diffusione insediativa costituitasi lungo l’asse stradale della Pontebbana.

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In memoria dell’architetto del paesaggio Paolo De Rocco

11 mercoledì Mar 2015

Posted by Moreno Baccichet in Eventi

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conferenza, paesaggio, San Vito al Tagliamento

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La serata che Legambiente ha organizzato a San Vito al Tagliamento vuole ricordare una delle principali figure dell’ambientalismo in Friuli Occidentale e quello che è stato senz’altro il miglior progettista di architettura del paesaggio in regione a cavallo del Secolo. Paolo De Rocco ha lasciato un grande vuoto con la sua morte e il recente riordino di una sua videointervista sul tema del paesaggio friulano ci permetterà di poter ancora cogliere il suo pensiero dalla sua voce.

Rivederlo nel video girato da Adriano Venturini e rimontato anche con le immagini della semplificazione colturale e paesaggistica operata sui luoghi che avevano interessato l’impegno civile di Paolo, sarà un piacere non solo per i vecchi amici, ma anche per chi lo conosceva poco.

Di seguito vi allego queste note predisposte da Adriano Venturini per accompagnare l’intervista a Paolo De Rocco

Paesaggio rubato

Nel 2009 ho realizzato l’intervista a Paolo De Rocco sul tema del paesaggio in Friuli e della sua trasformazione ai giorni nostri.

L’ho conosciuto a 25 anni nel 1985, partecipando a dei corsi da lui tenuti sull’importanza delle siepi sotto l’aspetto ambientale e paesaggistico. Erano i tempi in cui i riordini fondiari erano pianificati su tutto il Medio Friuli. Una cancellazione completa dell’ambiente e del paesaggio per migliaia di ettari. Da lui ho imparato che per opporsi bisognava avere una visione ed una conoscenza molto approfondita ed era necessario agire sull’informazione e nelle scuole per far crescere la coscienza storico-ambientale nel nostro territorio.

L’intervista è stata fatta con lo scopo di produrre un documento-manifesto sul paesaggio facilmente fruibile. Un documento dove abbiamo cercato di delineare, di spiegare la storia della sua trasformazione ma soprattutto del perché e come difendere un patrimonio inestimabile ed unico.

E’ stata realizzata in mezzo ai campi, “dentro al paesaggio”, in un posto simbolico, dove di lì a poco sarebbe stato messo in opera un nuovo riordino fondiario, quello tra Blessano e Mereto di Tomba.

Un posto conservato in modo stupendo, una rete di centinaia e centinaia di fossi profondi 1-2 metri larghi 2-4 metri su cui le siepi sono state lasciate crescere volutamente dall’uomo. Un territorio con segni storici significativi ,ville romane, tumuli e castellieri.

“I fossai”, fossi (costruiti dall’uomo) ricoperti da siepi, sono corridoi ecologici formidabili che segnano e caratterizzano in modo unico il Friuli.

Questa intervista risulta oggi attualissima e ci fa rifettere, per i suoi contenuti, su quanto la strada per la tutela ambientale sia lunga, visti i risultati del riordino di Blessano, di cui politici e progettisti hanno esaltato i risultati, quelli scritti sulla carta, però, non certo i risultati finali e reali sul territorio che sono purtroppo di bassissima qualità.

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Alpe Adria Senza: Paesaggi contemporanei a Nord Est

20 venerdì Feb 2015

Posted by Moreno Baccichet in Eventi, libri

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libri, paesaggio

VILLAMANIN_INCONTRI

Il libro di Pietro Valle presenta una interessante lettura di luoghi portata a termine con un atteggiamento speciale, quello di un architetto che indaga la forma territoriale come se questa fosse una enorme scultura dell’esperienza umana.
Ambienti e paesaggi, apparentemente disabitati, vengono esplorati da Pietro Valle secondo la tradizione, tutta friulana, dei “viaggi in patria”. Viaggi nei territori che costruiscono la nostra identità di abitanti e che nel caso specifico di Pietro Valle hanno una dimensione tranfrontaliera. Viaggi che esplorano il territorio come se fosse un’opera d’arte costringendo l’autore e il lettore a cercare nella forma un significato che superi la funzionalità di eloquenti presenze.
Ci è sembrato interessante proporre all’attenzione vostra e di chi attende o assolve alla preparazione del piano regolatore della città una prospettiva di lettura (nel libro si parla anche di Pordenone) che superi il dibattito sul consumo di suolo e sulla funzionalità degli strumenti per porre l’attenzione al tema dei valori che il territorio costruito assume per i
nostri “diversi” occhi.

VILLAMANIN_INCONTRI

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Imparare da Marsure: il senso dell’acqua nelle terre alte

10 sabato Gen 2015

Posted by Moreno Baccichet in Esplorazioni, Luoghi & Territori

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acqua, Aviano, Marsure, paesaggio, Paesaggio pedemontano, pastorizia

In un territorio calcareo le poche fonti affioranti e i temi della “cattura” dell’acqua piovana erano determinanti per le attività di pascolo su tutto il versante alpino. Per questo motivo quando in età bassomedievale si consolidarono i confini tra comunità di villaggio l’accesso alle fonti idriche divenne un problema di ogni piccolo villaggio. Non possiamo non notare come lungo strade di salita, come quella di Costa longa attrezzate con piccole stagni per l’abbeverata (lame), divennero il naturale confine con il villaggio di Giais e che la mulattiera, poco sotto l’omonima forcella toccava una sorgente attiva quasi tutto l’anno e posta in sostanza sul confine delle due comunità.

DSCF2060

Uno dei rivoli della sorgente è segnato dall’abbeveratoio e dai cippi confinari tra i comuni di Aviano e Barcis

Ancor più evidente è il significato confinario assunto dalla sorgente del Tornidor che divenne il limite confinario trale comunità rurali di Barcis, Marsure e Costa. L’acqua non poteva essere spostata a difefrenza dei cippi lapidei, ma soprattutto doveva dissetare quante più greggi era possibile.

Non è inusuale poi rintracciare nei pressi degli insediamenti pastorali di antico regime pietre incise utilizzate per l’abbeverata, o piccole depressioni impermeabilizzate per costruire degli stagni artificiali oggi ormai scomparsi.

DSCF2065

Pietra scavata per realizzare l’abbeveratoio per le pecore

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